« Crisi del reddito fisso alla svolta: i tassi stanno tornando attraenti »
Il capo del reddito fisso Ue di AllianceBernstein: « Questo potrebbe essere un buon punto di ingresso sul mercato dei bond »
Inflazione e rendimenti alle stelle, con il titolo decennale americano di nuovo sopra il 3% e la Federal Reserve pronta a varare stasera il primo ( e forse non unico) rialzo dei tassi Usa di 50 punti base da oltre 20 anni. Nel periodo più buio per gestire gli investimenti obbligazionari c’è però anche chi vede una flebile luce in fondo al tunnel in cui il mondo del reddito fisso si è infilato da inizio anno. « A partire dalla scorsa settimana abbiamo assistito a un fenomeno interessante sui mercati: per la prima volta dopo molto tempo si sono ripristinate le tradizionali dinamiche fra azioni e bond e alle forti vendite in Borsa hanno fatto da contraltare acquisti sui titoli di
Stato » , rileva Vivek Bommi, a capo del team europeo Fixed Income di AllianceBernstein. Non che ci si faccia particolari illusioni sul fatto che la crisi dell’obbligazionario sia finalmente al capolinea, ma si percepiscono segnali differenti e si fa strada l’idea che l’aria possa cambiare. E che forse sia anche tornato il momento di riaffacciarsi, timidamente, sul reddito fisso.
Pensa davvero che le svendite sui bond siano finite?
È presto per affermarlo con certezza, prima sono necessarie due condizioni: la volatilità che ha colpito i rendimenti negli ultimi tempi si deve abbassare e la correlazione inversa fra azioni e obbligazioni che di solito ci si aspetta sui mercati deve mantenersi almeno per un paio di mesi. Nel frattempo noto però che i tassi si sono alzati e in alcuni casi sono di nuovo attraenti.
Suggerirebbe quindi di tornare ad acquistare?
Di sicuro non consiglierei di vendere bond a chi li ha già in portafoglio, mentre questo potrebbe essere un buon punto di ingresso. Anche perché l’esperienza del passato insegna che dopo periodi di shock sui tassi simili a quello che vissuto i
ritorni per un investitore obbligazionario sono sempre stati elevati. Forse è difficile convincere un risparmiatore, ma per un istituzionale che è costretto a investire in reddito fisso come un fondo pensione questo dovrebbe essere abbastanza chiaro.
Parlava di aree interessanti, a cosa si riferiva in particolare?
Credo che vi sia valore fra i bond aziendali, in particolare negli high yield europei, i cui rendimenti medi viaggiano sopra il 5 per cento.
Non sono troppo rischiosi, visto lo scenario a cui si va incontro?
Non credo, perché il recente allargamento degli spread di credito è stato legato all’azione delle Banche centrali, più che al deterioramento dei fondamentali. Non bisogna dimenticare che abbiamo avuto un ciclo di default soltanto appena due anni fa per la crisi scatenata da Covid e le società che ne sono uscite sono molto più solide, hanno migliorato i flussi di cassa e ridotto i costi: direi che sono nella forma migliore che abbiano mai avuto.
All’orizzonte però non si vede niente di buono, con la guerra in Ucraina, il rincaro delle materie prime e i problemi nelle catene di approvvigionamento in crescita.
Questo non mi spaventa, perché le aziende a cui guardiamo non sono imprese manifatturiere che si basano sull’energia come input. Pensiamo piuttosto a settori che includono l’assistenza sanitaria, le telecomunicazioni, i cavi e i beni di consumo non discrezionali. Su di loro l’impatto non è tale da causare un deterioramento del credito significativo. Non mi aspetto un nuovo aumento dei fallimenti.
Vede opportunità pure in Italia? Fra i titoli ad alto rendimento abbiamo investito in una società attiva nel software come Teamsystem, sottopesiamo invece Telecom Italia perché preoccupati per la lotta che si è scatenata attorno al suo controllo. E in generale non abbiamo posizioni importanti nei titoli investment grade, del vostro Paese perché la loro duration è più elevata, gli spread più ristretti e sensibili al rischio sovrano.