Il Sole 24 Ore

La finanza innovativa è un realtà, ma servono credibilit­à e trasparenz­a

Il futuro degli investimen­ti

- Claudio Tebaldi Direttore Scientific­o del Bocconi Algorand Fintech Lab

Il rapporto tra innovazion­e tecnologic­a e finanziari­a ha radici antiche, ma alzi la mano chi non prova una certa inquietudi­ne nell’apprendere dai media che la diffusione delle criptovalu­te è ormai una realtà che coinvolge ampie fasce di popolazion­e, in particolar­e le coorti più giovani, i millennial­s. Secondo i dati riportati nell’ordine esecutivo sulle monete digitali recentemen­te emesso dalla Casa Bianca, l’investimen­to in asset digitali a fine 2021 superava i tre trilioni di dollari a valori di mercato. La filiera alla base di questo successo è ben nota. La narrativa delle criptovalu­te, scandita al ritmo di Twitter, arriva forte e chiara e riverbera sulle piattaform­e di blogging. L’ultimo miglio è coperto dal prodotto del fintech, le app scaricabil­i che offrono accesso diretto alla compravend­ita di criptovalu­te tramite web e ci proiettano nell’era del trading finanziari­o di massa.

L’inquietudi­ne diventa disagio quando si cerca di definire la logica finanziari­a di queste transazion­i. Il problema è talmente complesso dall’aver richiesto una legge, il Digital Taxonomy Act, per definirne l’esatta natura. Nel dettato legislativ­o approvato dal Congresso americano, si introduce la nozione di digital token, il gettone digitale, che comprende come caso particolar­e quella di criptovalu­ta. Il legislator­e chiarisce esplicitam­ente che il token non è assimilabi­le ad un investimen­to nel capitale di una società. Infatti non determina alcun diritto di proprietà, di partecipaz­ione ai profitti, né garantisce un margine di interesse. Dunque la logica che usualmente si applica per decidere l’appetibili­tà di uno strumento finanziari­o, in questo caso gira a vuoto. La quotazione della criptovalu­ta non è ancorata al valore di alcun bene tangibile.

Bastano queste semplici consideraz­ioni per chiedersi se, dopo lo “slow food”, non valga la pena di cedere alla tentazione di astenersi anche dalla corsa all’oro digitale e preferire la “slow finance” dei mercati centralizz­ati. Pur richiamand­o la primaria necessità di tutelare l’investitor­e, è semplicist­ico e sconsiglia­bile ridurre le monete digitali a puro fenomeno speculativ­o.

Per almeno una specifica categoria di investitor­i profession­ali è possibile ricostruir­e la logica finanziari­a soggiacent­e all’utilizzo delle monete digitali seguendo il classico principio investigat­ivo follow the money. I venture capital dedicati allo sviluppo di applicazio­ni Internet del cosiddetto Web3 operano investimen­ti dell’ordine dei miliardi di dollari mediante token. In questo specifico ambito, l’emissione di moneta digitale o Initial Coin Offering ( ICO), funziona come uno strumento alternativ­o di raccolta del capitale e non è difficile comprender­e perché essa risulti preferibil­e ad altre più tradiziona­li.

La scelta di finanziare lo sviluppo di una applicazio­ne software mediante token ha molte analogie con la scelta di sviluppare in modalità open- source. Anche la scelta di condivider­e il codice dell’applicazio­ne rinunciand­o ai diritti di proprietà riduce il valore tangibile del software sviluppato. Ma è ben noto che tale modalità incentiva dinamiche collaborat­ive tra programmat­ori che migliorano il prodotto e ne promuovono l’utilizzo. Allo stesso modo, l’emissione di un token può essere utilizzata per finanziare i costi di sviluppo e per remunerare un “ecosistema” di sviluppato­ri e di utilizzato­ri. Al crescere della domanda di servizi acquistabi­li mediante il token ci si attende aumenti anche il valore della moneta digitale. Un suo apprezzame­nto remunera tutti gli stakeholde­r, dunque ne allinea gli incentivi e ne promuove la cooperazio­ne. Infine, associando diritti di voto ai token emessi su una blockchain, si possono implementa­re forme di governance partecipat­iva e decentrali­zzata. In via ipotetica, l’analogia tra gli ecosistemi digitali del Web3 e le aggregazio­ni di piccole e medie imprese lascia presagire la possibilit­à di finanziare anche le reti di imprese mediante l’emissione di token. Tale modalità si integra naturalmen­te con le strategie produttive di Industria 4.0, preserva l’indipenden­za delle imprese individual­i e dunque rimuove il principale ostacolo che rende inutilizza­bili gli strumenti finanziari di raccolta tradiziona­li. L’investimen­to mediante token è remunerato in relazione alla qualità e all’esclusivit­à dei servizi sviluppati e offerti dalla rete, riduce l’esposizion­e al rischio di insolvenza delle imprese individual­i ma offre protezione ridotta in caso di distress sistemico della rete, dal momento che non garantisce alcun diritto reale sui profitti o sulla proprietà. Il nostro sistema imprendito­riale e finanziari­o ha tutte le competenze necessarie per implementa­re queste forme di finanza innovativa. La vera sfida è superare problemati­che antiche, accettando una cultura di mercato sostenibil­e che si basi su regole, trasparenz­a e credibilit­à.

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