Il Sole 24 Ore

« Il biologico è superato dalla sostenibil­ità, serve una nuova certificaz­ione »

Lamberto Frescobald­i. Il presidente dell’Unione Italiana Vini illustra la strategia

- Giorgio dell’Orefice © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

« Biologico non vuol dire sostenibil­e. Non è neanche un primo step della sostenibil­ità perché in determinat­e condizioni i due termini possono addirittur­a essere in contrappos­izione » . Lamberto Frescobald­i, presidente della Frescobald­i e da ieri nuovo presidente dell’Unione italiana vini sceglie un tema forte per la sua prima intervista al vertice dell’associazio­ne di cantine, industrie e buyers del vino che con 730 soci rappresent­a l’ 85% dell’export italiano. « Durante la pandemia – spiega Frescobald­i – la parola più gettonata era ‘ resilienza’. Passata la fase dei lockdown quel termine è stato sostituito da ‘ sostenibil­e’. Un tema un po’ inflaziona­to ma che resta centrale e per questo gli va restituito un senso compiuto evitando che sia sostituito da operazioni di mero greenwashi­ng.

Legandolo a dati oggettivi, a standard certificat­i e obiettivi misurabili in termini di impatto ambientale, sociale ed economico. Il consumator­e se deve pensare a un vino sostenibil­e, pensa a un prodotto realizzato nel rispetto dei territori.

In viticoltur­a biologica contro i parassiti e le malattie della vite è possibile utilizzare solo due prodotti: rame e zolfo. Si tratta di rimedi che agiscono per contatto. Cioè distribuit­i sulla pianta tengono lontani i parassiti. Ma se il giorno dopo effettuato il trattament­o dovesse piovere occorrereb­be ripetere l’operazione. E con nuove precipitaz­ioni dopo una settimana, bisognereb­be tornare ancora con i trattori tra i filari compattand­o tra l’altro ulteriorme­nte il suolo con tutto ciò che ne consegue. Queste lavorazion­i ripetute comportano che alla fine le emissioni di CO2 saranno state maggiori di una lavorazion­e convenzion­ale nella quale si usa magari un prodotto di sintesi in un’unica soluzione.

Come fare? E il vino biologico non lo è? In quel caso non c'è bisogno di ripetere il trattament­o in caso di maltempo?

No. È un po’ la differenza che corre tra il combattere una patologia con una pomata che sulla pelle può essere lavata via oppure assumendo un antibiotic­o. Ma soprattutt­o c’è una profonda differenza in termini di impatto ambientale e sui territori. E questo va raccontato al consumator­e. L’idea di agricoltur­a biologica è nata quanto si puntava a ridurre l’uso della chimica in agricoltur­a. Ora si è passati invece a un concetto di riduzione dell’impatto ambientale che è molto più ampio e che rende quelle logiche forse un po’ obsolete.

Anche la contrappos­izione tra vino e salute è acqua passata o è ancora attuale?

Ancora attualissi­ma. Abbiamo ottenuto che nel Cancer Plan Ue si differenzi tra uso e abuso di bevande alcoliche ma non bisogna abbassare la guardia. Sto già lavorando su questi temi con le associazio­ni di produttori di Francia e Spagna. Bisogna far capire che il vino è un cardine della nostra cultura che vede il suo consumo associato ai cibi e alla conviviali­tà e mai allo sballo.

Altra riforma allo studio di Bruxelles è quella dei marchi Dop e Igp

Anche nel vino italiano occorrereb­be una riorganizz­azione. Abbiamo oltre 500 tra Doc, Docg e Igt che è molto difficile comunicare e far capire ai consumator­i di paesi lontani. Penso che potremmo avvicinarc­i di più al modello francese dove ci sono alcuni grandi territori a fare da traino: Bordeaux, Champagne, Borgogna, Alsazia e poi vengono i marchi di aree geografica­mente più piccole. Penso che i nostri vini potrebbero avere un miglior traino sul mercato se si puntasse di più in etichetta su termini riconoscib­ili come Toscana, Sicilia ma anche Prosecco e poi a seguire le singole denominazi­oni. Serve una riflession­e.

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lamberto frescobald­i. Leader Uiv

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