CAR SHARING, UN BUSINESS DIFFICILE PER POCHI PLAYER
Riivoluzione nel car sharing? Non proprio, anzi l’operazione Free2move - Share Now con la quale l’operatore di servizi di mobilità di Stellantis ha acquisito il player nato dalla fusione tra Car2Go di Mercedes e Drive Now di Bmw evidenzia due punti chiave, peraltro già evidenti da tempo; il primo è che le dimensioni del car sharing sono troppo piccole per potere funzionare: occorre massa critica, sinergie, riduzione dei costi operativi ( altissimi) perché è un business che non sta in piedi ed guidato da esigenze di marketing e di immagine ed è costantemente in rosso. Secondo punto: al di là delle roboanti affermazioni sull’obbiettivo della leadership mondiale nel car sharing, l’operazione accende un altro faro su un fenomeno dell’automotive: serve a immatricolare, anzi ad auto- immatricolare vetture, soprattutto elettriche, che il mercato non vuole per un’infinità di motivi, compresa la sostanziale inutilizzabilità per molti o non più conveniente in assenza di incentivi ( anche quelli per il noleggio a lungo termine). Del resto, ha spiegato Pierluigi Del Viscovo, fondatore e direttore del Centro Studi Fleet& Mobility, ad aprile il 27% delle auto elettriche ( più di una vettura su 4) è stata autoimmatricolata. A parte il caso
Tesla, che fa scuola a parte e i cui modelli non sono nelle flotte di car sharing, questo vuol dire che le case automobilistiche che stanno sfornando elettriche a nastro, e in parte obtorto collo per i diktat europei tecnologicamente non neutrali, devono cercare un bacino di sbocco per costose vetture che altrimenti resterebbero invendute a prendere la grandine nei piazzali. Devono rispettare quote sulla CO2 e dunque sono obbligati a targare e- car per forza. Pur senza dati precisi ( gli operatori non amano rilasciare informazioni se non quelle su numero, composizione e distribuzione delle loro flotte) l’acquisizione di Free2move evidenzia i problemi del car sharing: è un business che su numeri piccoli non funziona e talvolta non sta neppure in piedi. L’auto in condivisione, che sarebbe meglio chiamare “noleggio a brevissimo termine”, perché la vettura non si condivide tra persone, in un’affascinante ( per alcuni) idea tecno- marxista, ma si affitta da una società che ha o dovrebbe avere un solo scopo: fare soldi. Ma è difficile se non impossibile fare utili. Non si sono mai stati rilevanti aumenti di scala nel numero delle vetture flotte, in circa 15 anni dalla nascita dei primi grandi operatori “free floating” ( quelli che permettono di prendere l’auto in un posto e di parcheggiarla dove si vuole). E sui costi operativi pesano il vandalismo, l’incuria, la mancanza di senso civico e la normale usura. L’auto è un bene deperibile e delicato. Un piccolo urto su un marciapiede che produce un danno su un cerchio, per molti irrilevante, diventa un costo insostenibile così pure la classica ( e cafona) sportellata nel parcheggio. Per non parlare dei costi ordinari di manutenzione ordinaria e straordinaria. Il rapporto – spiega ancora Del Viscovo - tra prezzo della tariffa e costi non permette di generare utili tali da alimentare un business e dunque gli operatori sono regolarmente in perdita. E qual è la soluzione? Unire le forze come hanno fatto Mercedes e Bmw prima e Stellantis adesso. Ed occorre una revisione delle tariffe che devono essere remunerative e non sostenere operazioni marketing delle case perché l’auto condivisa fa immagine ed è cool. E infine c’è anche un altro punto: le case automobilistiche sanno che con la rivoluzione elettrica venderanno meno macchine e dunque si concentreranno su sharing e servizi di mobilità ( vedi Kinto di Toyota, Mobilize di Renault o Moia di Vw) possono diventare un modo per evolvere da car company, produttore di hardware, dunque, a service ( software) company: una difficile rivoluzione che più di un problema ha causato due decenni fa a player dell’It come IBM o HP che hanno perso parte della propria identità e del business. E con l’automotive il rischio di confondere il prodotto ( l’auto) con una delle sue funzioni ( la mobilità) può essere pericoloso: i margini sono in gran parte sull’hardware, cioè sull’auto e i suoi elementi accessori spesso venduti a caro prezzo, senza dimenticare che come accadde nei pc, anche nell’auto ci sono tanti player cinesi pronti a raccogliere l’eredità degli attori tradizionali.