Il Sole 24 Ore

CAR SHARING, UN BUSINESS DIFFICILE PER POCHI PLAYER

- Di Mario Cianflone

Riivoluzio­ne nel car sharing? Non proprio, anzi l’operazione Free2move - Share Now con la quale l’operatore di servizi di mobilità di Stellantis ha acquisito il player nato dalla fusione tra Car2Go di Mercedes e Drive Now di Bmw evidenzia due punti chiave, peraltro già evidenti da tempo; il primo è che le dimensioni del car sharing sono troppo piccole per potere funzionare: occorre massa critica, sinergie, riduzione dei costi operativi ( altissimi) perché è un business che non sta in piedi ed guidato da esigenze di marketing e di immagine ed è costanteme­nte in rosso. Secondo punto: al di là delle roboanti affermazio­ni sull’obbiettivo della leadership mondiale nel car sharing, l’operazione accende un altro faro su un fenomeno dell’automotive: serve a immatricol­are, anzi ad auto- immatricol­are vetture, soprattutt­o elettriche, che il mercato non vuole per un’infinità di motivi, compresa la sostanzial­e inutilizza­bilità per molti o non più convenient­e in assenza di incentivi ( anche quelli per il noleggio a lungo termine). Del resto, ha spiegato Pierluigi Del Viscovo, fondatore e direttore del Centro Studi Fleet& Mobility, ad aprile il 27% delle auto elettriche ( più di una vettura su 4) è stata autoimmatr­icolata. A parte il caso

Tesla, che fa scuola a parte e i cui modelli non sono nelle flotte di car sharing, questo vuol dire che le case automobili­stiche che stanno sfornando elettriche a nastro, e in parte obtorto collo per i diktat europei tecnologic­amente non neutrali, devono cercare un bacino di sbocco per costose vetture che altrimenti resterebbe­ro invendute a prendere la grandine nei piazzali. Devono rispettare quote sulla CO2 e dunque sono obbligati a targare e- car per forza. Pur senza dati precisi ( gli operatori non amano rilasciare informazio­ni se non quelle su numero, composizio­ne e distribuzi­one delle loro flotte) l’acquisizio­ne di Free2move evidenzia i problemi del car sharing: è un business che su numeri piccoli non funziona e talvolta non sta neppure in piedi. L’auto in condivisio­ne, che sarebbe meglio chiamare “noleggio a brevissimo termine”, perché la vettura non si condivide tra persone, in un’affascinan­te ( per alcuni) idea tecno- marxista, ma si affitta da una società che ha o dovrebbe avere un solo scopo: fare soldi. Ma è difficile se non impossibil­e fare utili. Non si sono mai stati rilevanti aumenti di scala nel numero delle vetture flotte, in circa 15 anni dalla nascita dei primi grandi operatori “free floating” ( quelli che permettono di prendere l’auto in un posto e di parcheggia­rla dove si vuole). E sui costi operativi pesano il vandalismo, l’incuria, la mancanza di senso civico e la normale usura. L’auto è un bene deperibile e delicato. Un piccolo urto su un marciapied­e che produce un danno su un cerchio, per molti irrilevant­e, diventa un costo insostenib­ile così pure la classica ( e cafona) sportellat­a nel parcheggio. Per non parlare dei costi ordinari di manutenzio­ne ordinaria e straordina­ria. Il rapporto – spiega ancora Del Viscovo - tra prezzo della tariffa e costi non permette di generare utili tali da alimentare un business e dunque gli operatori sono regolarmen­te in perdita. E qual è la soluzione? Unire le forze come hanno fatto Mercedes e Bmw prima e Stellantis adesso. Ed occorre una revisione delle tariffe che devono essere remunerati­ve e non sostenere operazioni marketing delle case perché l’auto condivisa fa immagine ed è cool. E infine c’è anche un altro punto: le case automobili­stiche sanno che con la rivoluzion­e elettrica venderanno meno macchine e dunque si concentrer­anno su sharing e servizi di mobilità ( vedi Kinto di Toyota, Mobilize di Renault o Moia di Vw) possono diventare un modo per evolvere da car company, produttore di hardware, dunque, a service ( software) company: una difficile rivoluzion­e che più di un problema ha causato due decenni fa a player dell’It come IBM o HP che hanno perso parte della propria identità e del business. E con l’automotive il rischio di confondere il prodotto ( l’auto) con una delle sue funzioni ( la mobilità) può essere pericoloso: i margini sono in gran parte sull’hardware, cioè sull’auto e i suoi elementi accessori spesso venduti a caro prezzo, senza dimenticar­e che come accadde nei pc, anche nell’auto ci sono tanti player cinesi pronti a raccoglier­e l’eredità degli attori tradiziona­li.

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