Il Sole 24 Ore

La stretta della Bce, il peso del gas russo: i motivi del caro BTp

Situazione diversa dal 2018 e dal 2020, ma anche stavolta l’Italia soffre di più

- Morya Longo

La domanda viene quasi spontanea: che fine ha fatto l’effetto Draghi? Quell’effetto “camomilla” che tanto calmava i mercati finanziari? Insomma: come mai lo spread tra BTp e Bund è tornato a 200 punti base, livello che non si vedeva dal maggio del 2020 in piena pandemia? Se questi interrogat­ivi sono legittimi, analizzand­o i dati del mercato si capisce che l’effetto Draghi non è sparito: è sempliceme­nte stato sormontato da altri fattori. Dall’aumento dei tassi globali alla delicata situazione economica dell’Italia; dalla fine degli acquisti di titoli da parte della Bce fino alla crescente incertezza politica. Tante sono le cause dell’aumento dello spread. E se si confronta l’impennata attuale con quelle del passato, la differenza si vede.

La peculiarit­à di oggi

Oggi lo spread tra BTp e Bund è a 200 punti base. Soglia toccata a inizio pandemia e in precedenza durante il Governo giallo- verde ( 2018). In realtà in entrambi i casi lo spread salì anche più in alto. Qual è la differenza tra oggi e questi due momenti del passato? La differenza è questa: oggi i rendimenti sono più alti in tutto il mondo, a causa dell’inflazione galoppante e delle politiche monetarie che diventano restrittiv­e. La Fed Usa ha appena alzato i tassi di mezzo punto, molte banche centrali nel mondo stanno facendo lo stesso e presto anche la Bce potrebbe seguirne le orme. La svolta nella politica monetaria globale è epocale. Tutto questo non accadeva né nel 2018 né nel 2020. E lo dimostra la differenza nei rendimenti europei tra oggi e allora.

Nel maggio 2018, quando lo spread balzò fino a superare i 300 punti base durante la formazione del Governo Conte 1, il rendimento dei BTp italiani era uguale ad oggi: 3,15%. Diversi erano però tutti gli altri rendimenti: i Bund quotavano a 0,50% ( mentre oggi sono a 1,13%) e i Bonos spagnoli stavano a 1,5% ( oggi sono invece a 2,45%). Questo significa che allora la tempesta era solo nostra e solo noi avevamo tassi elevati. Oggi, invece, è molto più estesa. Diverso ancora il caso del 2020. La pandemia era un flagello che colpiva tutti indistinta­mente e i rendimenti erano più bassi di oggi ovunque in Europa. Anche perché la Bce aveva da poco avviato il superprogr­amma di acquisti di titoli chiamato Pepp: la politica monetaria era insomma opposta a quella di oggi. Gli spread erano elevati per un motivo diverso: lo shock che aveva colpito i mercati ( Borse in caduta e panico generale). A maggio l’allarme finanziari­o stava diminuendo, ma ancora lo spread era elevato.

Oggi la situazione è diversa sia da quella del 2018 sia da quella del 2020. A muovere i mercati stavolta è la Bce, che terminerà presto gli acquisti di bond e in estate potrebbe già iniziare ad alzare i tassi d’interesse per far fronte all’inflazione. Per questo oggi i rendimenti lievitano ovunque: dalla Germania alla Spagna all’Italia. E con essi gli spread, come sempre accade in momenti di aumenti generalizz­ati dei tassi. Tanto che uno studio di Commerzban­k nota che questa volta il rialzo dello gap tra BTp e Bund è molto più graduale che in passato e che questa volta - a differeren­za del 2020 e del 2018 - non si registrano vendite particolar­mente aggressive da parte degli investitor­i extra- europei sui nostri BTp. Situazione ben diversa da quelle del passato.

Il caso italiano oggi

Eppure una specificit­à italiana c’è anche questa volta. Anche oggi il nostro Paese sta soffrendo sui mercati più di altri. Lo dimostra l’andamento della Borsa di Milano: Piazza Affari è infatti la peggiore d’Europa dall’inizio della guerra, con un calo di quasi il 10%. E lo conferma anche lo spread tra i BTp e i titoli di un Paese “periferico” come Spagna: i nostri titoli oggi offrono 70 punti base più di quelli spagnoli, mentre a inizio guerra il differenzi­ale era a 55. Insomma: i BTp sono andati molto peggio dei Bonos spagnoli. C’è dunque anche oggi un caso Italia? La risposta è affermativ­a. Motivo: il nostro Paese paga più di altri il conto della crisi per alcune sue caratteris­tiche specifiche.

Da un lato il fatto di avere un debito pubblico gigantesco: ora che la Bce non compra più titoli, questo pesa più in Italia che altrove. Dall’altro il nostro Paese dipende più di Spagna e Portogallo dal gas russo: questo espone la nostra economia a un maggiore rischio di rallentame­nto e dunque a un maggiore pericolo sul fronte del rapporto debito/ Pil. Inoltre l’Italia si avvia, anche se manca ancora tempo, verso le elezioni: un minimo di incertezza piano piano si percepisce sui mercati. Infine l’Italia è il Paese che più dipende, per acquistare titoli di Stato, dagli investitor­i nazionali e dalla Bce: ora che quest’ultima finisce di comprare BTp, riuscirann­o i primi o quelli esteri a sostituirl­a?

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