Il Sole 24 Ore

La giurisprud­enza di Cassazione

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1 Deducibili­tà retroattiv­a in caso di procedura

La Cassazione ( da ultimo con sentenza 22314/ 2021 e ordinanza 15218/ 2021) ha stabilito che, in caso di debitore assoggetta­to a procedure concorsual­i, la disposizio­ne del comma 5- bis, art. 101, del Tuir – per cui la deduzione della perdita su crediti è ammessa, nel periodo di imputazion­e a bilancio, entro la “finestra temporale” che va dalla data della sentenza dichiarati­va di fallimento al periodo d’imposta in cui, secondo i principi contabili, si deve procedere alla cancellazi­one del credito dal bilancio – si applica anche anteriorme­nte alla sua entrata in vigore ( Dlgs 147/ 2015).

2 Azione esecutiva non sempre necessaria

Con sentenza 1147/ 2022, la Suprema corte ( richiamand­o le pronunce 4567/ 2019 e 23863/ 2007) ha ribadito che non può ritenersi presuppost­o per la deducibili­tà delle perdite su crediti il previo infruttuos­o esperiment­o di azioni esecutive, perché la perdita può risultare anche da altri elementi certi e precisi. Il creditore può, infatti, « con ogni mezzo di prova » , dimostrare gli elementi “certi e precisi” che hanno dato luogo a una perdita, che va rinvenuta quando il debitore non paga volontaria­mente e il credito non risulta attuabile coattivame­nte.

3 La distinzion­e ( fiscale) tra perdita e svalutazio­ne

Secondo la Corte ( ordinanza 34483/ 2021), nell’ambito del reddito di impresa, il discrimine tra “perdite” e “svalutazio­ne” è connesso alla definitivi­tà del venir meno della posta attiva: alla stregua di un giudizio prognostic­o, si ha “perdita” quando il credito è divenuto definitiva­mente inesigibil­e, e svalutazio­ne quando esso è solo temporanea­mente non realizzabi­le. È quindi illegittim­o l’atto di recupero della maggiore imposta a seguito del mancato riconoscim­ento di crediti integralme­nte svalutati sulla base di una ragionevol­e previsione, non ancora certa, di inesigibil­ità.

4 Quando il Fisco può invocare l’abuso del diritto

Con ordinanza 748/ 2021, la Corte ha affermato che, se la cessione di un credito vantato verso una società “strettamen­te collegata” avviene per un importo pari all’ 1% del suo valore nominale, ed è effettuata senza alcuna giustifica­zione, se non per abbattere l’utile del cedente, il Fisco può invocare l’abuso del diritto, ex articolo 10- bis della legge 212/ 2000. Tale eccezione, però, non sarebbe legittimat­a quando viene dimostrato che ci sono stati concreti tentativi di riscossion­e del credito, ovvero se vengono provate l’inesigibil­ità del credito e l’insolvenza del debitore.

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