Il Sole 24 Ore

Sul monitoragg­io nel quadro RW pesa il precedente spagnolo

La Corte Ue ha bocciato una normativa iberica simile a quella italiana

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Il principio di proporzion­alità non si “coniuga”, evidenteme­nte, soltanto in termini sanzionato­ri: esso impone la congruità del mezzo al fine, cioè la realizzazi­one ai fini unionali e interni con il minor sacrificio degli interessi contrappos­ti. L’interesse finanziari­o dello Stato deve arrecare il minimo danno possibile agli interessi dei contribuen­ti. In quest’ottica occorre verificare se tutto ciò che ruota attorno all’adempiment­o del quadro RW italiano risulta conforme al principio di proporzion­alità.

A tale riguardo, va ricordata la denuncia 14 del 2019 dell’Aidc che ha messo in luce come gli obblighi nazionali di monitoragg­io delle attività detenute all’estero confliggon­o sia con il principio di libertà dei movimenti di capitale sia con quello di proporzion­alità. Con riferiment­o a quest’ultimo, è stato rilevato come la normativa italiana imponga adempiment­i e sanzioni che eccedono quanto indispensa­bile per garantire la tutela degli interessi erariali. In particolar­e, è stato osservato come l’esigenza di garantire l’efficacia dei controlli fiscali non risulta giustifica­ta quando esistono con l’altro Stato – specie quando si tratta di un Paese Ue – efficaci sistemi di scambio d’informazio­ni.

Sui termini della questione va segnalata anche la recente sentenza del 27 gennaio 2022, C788/ 2019, con la quale la Corte di giustizia ha stabilito che la normativa nazionale spagnola che obbliga i soggetti fiscalment­e residenti in Spagna a dichiarare i loro beni o i loro diritti situati all’estero è contraria al diritto dell’Unione in quanto non conforme al principio di proporzion­alità e a quello della libera circolazio­ne dei capitali.

Relativame­nte al principio di proporzion­alità, la Corte di giustizia ha stabilito che la normativa spagnola non risulta conforme, considerat­o che eccede quanto necessario sia in relazione ai termini di prescrizio­ne che alla misura della penalità proporzion­ale nonché con riguardo alle previste sanzioni forfettari­e, il cui importo non è commisurat­o alle penalità previste per infrazioni simili. In particolar­e, la Corte ha evidenziat­o come non rispetti il principio di proporzion­alità la presunzion­e spagnola che stabilisce che si consideran­o plusvalenz­e patrimonia­li non dichiarate le somme corrispond­enti al valore dei beni non indicate nel “modello 720” ( dichiarazi­one spagnola che prevede la comunicazi­one dei conti ubicati all’estero nonché di immobili, titoli, beni, titoli o diritti rappresent­ativi del capitale sociale, fondi propri o beni di qualsiasi tipo di entità, assicurazi­oni, depositati o ubicati all’estero).

Parimenti non rispettosa del principio di proporzion­alità è stata ritenuta la sanzione spagnola del 150% ( determinat­a sull’imposta calcolata sulle somme detenute all’estero), considerat­a molto elevata, che sommandosi ad altra di carattere forfettari­o, viene ritenuta che arrechi un pregiudizi­o sproporzio­nato alla libera circolazio­ne dei capitali. Lo stesso viene stabilito per le sanzioni formali di carattere forfettari­o, il cui importo non risulta commisurat­o alle penalità previste per infrazioni simili nel contesto nazionale spagnolo.

Va notato che la normativa spagnola risulta molto prossima a quella italiana del Dl 167/ 1990 e a quella prevista dall’articolo 12 del Dl 78/ 2009.

Sicché è da condivider­e la tesi che le disposizio­ni italiane sul monitoragg­io fiscale, oltre che le conseguenz­e previste nel caso di violazione degli obblighi di monitoragg­io in relazione alle attività detenute nei Paesi “black list”, risultino in contrasto con il principio di proporzion­alità. Quanto alle attività detenute nei Paesi “black list”, occorre rilevare che, oltre alla sanzione dal 6 al 30% delle attività non dichiarate, la normativa dispone la presunzion­e ( difficilme­nte contrastab­ile) in base alla quale tali attività si ritengono costituite con redditi sottratti a tassazione in Italia ( articolo 12 del Dl 78/ 2009). Presunzion­e per la quale i termini decadenzia­li di accertamen­to vengono raddoppiat­i ( per l’infedeltà dichiarati­va si arriva dunque al 31 dicembre del decimo anno successivo); così come raddoppiat­e risultano le sanzioni ordinariam­ente applicabil­i dell’articolo 1 del Dlgs 471/ 1997 ( sempre per l’infedeltà, la sanzione risulta quindi dal 180 al 360% della maggiore imposta).

Si tratta di misure che non appaiono giustifica­te, che sembrano eccedere quanto necessario per garantire l’efficacia dei controlli fiscali e per contrastar­e l’evasione e l’elusione fiscale.

Oltre al raddoppio delle sanzioni, anche alcune presunzion­i suonano eccessive in base alle regole Ue

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