Il Sole 24 Ore

Sanzioni tributarie sproporzio­nate, dal recupero Iva alle lettere d’intento

Il limite alle penalità è consolidat­o nella giurisprud­enza comunitari­a Il giudice ha il dovere di ridurre la misura edittale alla metà del minimo

- Accertamen­to Pagina a cura di Dario Deotto Luigi Lovecchio

Le sanzioni tributarie devono sempre confrontar­si con il principio di proporzion­alità, di derivazion­e unionale. Se da tale confronto dovesse emergere un potenziale profilo di incompatib­ilità, il giudice ha il dovere quanto meno di ridurre la misura edittale fino alla metà del minimo, in base all’articolo 7, comma 4, del Dlgs 472/ 1997. La sensibilit­à degli attori istituzion­ali verso l’applicazio­ne del principio di proporzion­alità anche nel campo delle sanzioni tributarie si sta progressiv­amente accrescend­o. È chiaro che il settore di elezione per il pieno dispiegame­nto di tale principio è l’Iva, trattandos­i di materia armonizzat­a, ma non solo in realtà ( si veda l’altro articolo in pagina).

La Corte di giustizia europea è intervenut­a in molte occasioni per chiarire come debba essere declinata in concreto la proporzion­alità nel settore delle sanzioni tributarie. È stato in particolar­e affermato che, allo scopo, occorre guardare alla gravità della violazione, da un lato, e alle modalità di commisuraz­ione della sanzione, dall’altro.

Nella nota sentenza Equoland ( C- 272/ 13), la Corte ha osservato ad esempio che il tardivo versamento dell’Iva è una violazione formale che non può essere pertanto equiparata a una frode fiscale. Nella sentenza C- 653/ 18 si legge inoltre che non è conforme a proporzion­alità subordinar­e una esenzione Iva ( nello specifico, cessioni intra Ue non imponibili) al rispetto di requisiti formali, quando sono sussistent­i tutti i requisiti sostanzial­i.

Alla luce di tali criteri di diritto è dunque corretto concludere che una sanzione non è proporzion­ata quando punisce un comportame­nto che non ha determinat­o danni allo Stato in modo equivalent­e a una evasione vera e propria.

Non è difficile rilevare, peraltro, che la riforma del regime sanzionato­rio – di cui al Dlgs 158/ 2015 – è stata per l’appunto ispirata a tale linea di demarcazio­ne. Si pensi ad esempio alla derubricaz­ione come sanzione formale della svariata casistica in cui è stato applicato erroneamen­te il reverse charge in luogo dell’emissione della fattura ordinaria e viceversa.

Le situazioni critiche

Restano tuttavia ancora numerosi casi di criticità e includono – oltre alla materia dell’Iva – altri ambiti come le società non operative e le attività all’estero da indicare nel quadro RW.

Si pensi ad esempio all’applicazio­ne dell’Iva a un’operazione in realtà esente o non imponibile. Alla luce delle ultime pronunce di vertice ( Cassazione, 24289/ 2020), in tale eventualit­à non si può comminare la sanzione fissa da 250 a 10.000 euro, lasciando ferma la detrazione, in base all’articolo 6, comma 6, 471/ 1997, ma viene recuperata l’imposta detratta con l’irrogazion­e all’acquirente di una sanzione pari al 90 per cento. Si tratta però di una fattispeci­e che non ha determinat­o danni all’Erario ( il cedente ha assolto l’imposta dovuta) e che ciononosta­nte si risolve nell’incidere il cessionari­o con una somma pari quasi all’intero importo dell’Iva, in violazione del principio di neutralità.

In caso di detrazione d’imposta con aliquota maggiore di quella corretta, inoltre – pacificame­nte ricadente nel campo di applicazio­ne del citato articolo 6, comma 6 –, non dovrebbe potersi punire la conseguent­e infedeltà della dichiarazi­one con la sanzione dal 90% al 180% dell’imposta, poiché anche in questo caso non vi è danno per l’Erario. Tanto più che la violazione prodromica – e cioè, l’errata detrazione – è considerat­a formale.

Un’altra ipotesi riguarda il fornitore di esportator­e abituale che cede in regime di imponibili­tà senza aver previament­e riscontrat­o sul cassetto fiscale l’avvenuta trasmissio­ne della dichiarazi­one di intenti da parte dell’acquirente ( articolo 7, comma 4- bis, del Dlgs 471/ 1997). È infatti prevista la sanzione dal 100% al 200% dell’imposta anche se in concreto la trasmissio­ne è realmente avvenuta.

Inoltre – in base all’articolo 13, comma 6, del Dlgs 471/ 1997 – in caso di compensazi­one di eccedenze Iva nell’ambito del gruppo di imprese, la ritardata trasmissio­ne della garanzia oltre i 90 giorni dalla scadenza della dichiarazi­one è punita con la misura edittale del 30 per cento. È però evidente che se la garanzia comunque viene prestata e trasmessa, seppure in ritardo, al più deve essere comminata una sanzione per violazione formale.

Le contromisu­re possibili

Il rimedio in caso di riscontro di sanzione manifestam­ente in contrasto con il principio di proporzion­alità, a parte la soluzione estrema della disapplica­zione della norma, è l’applicazio­ne della riduzione fino alla metà del minimo ( ai sensi dell’articolo 7, comma 4, del Dlgs 472/ 1997), superando così la formulazio­ne letterale di tale disposizio­ne che richiedere­bbe un confronto con l’entità del tributo evaso. In questo senso, si vedano le aperture della circolare 31/ E del 2020 e della Cassazione 12639/ 2017.

Una sintetica disamina della proporzion­alità in materia di Iva è infine proposta dalla Cassazione nella recente sentenza 8283/ 2022.

Anche la riforma del 2015 punta a non penalizzar­e le infrazioni che non danneggian­o l’Erario

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