Sanzioni tributarie sproporzionate, dal recupero Iva alle lettere d’intento
Il limite alle penalità è consolidato nella giurisprudenza comunitaria Il giudice ha il dovere di ridurre la misura edittale alla metà del minimo
Le sanzioni tributarie devono sempre confrontarsi con il principio di proporzionalità, di derivazione unionale. Se da tale confronto dovesse emergere un potenziale profilo di incompatibilità, il giudice ha il dovere quanto meno di ridurre la misura edittale fino alla metà del minimo, in base all’articolo 7, comma 4, del Dlgs 472/ 1997. La sensibilità degli attori istituzionali verso l’applicazione del principio di proporzionalità anche nel campo delle sanzioni tributarie si sta progressivamente accrescendo. È chiaro che il settore di elezione per il pieno dispiegamento di tale principio è l’Iva, trattandosi di materia armonizzata, ma non solo in realtà ( si veda l’altro articolo in pagina).
La Corte di giustizia europea è intervenuta in molte occasioni per chiarire come debba essere declinata in concreto la proporzionalità nel settore delle sanzioni tributarie. È stato in particolare affermato che, allo scopo, occorre guardare alla gravità della violazione, da un lato, e alle modalità di commisurazione della sanzione, dall’altro.
Nella nota sentenza Equoland ( C- 272/ 13), la Corte ha osservato ad esempio che il tardivo versamento dell’Iva è una violazione formale che non può essere pertanto equiparata a una frode fiscale. Nella sentenza C- 653/ 18 si legge inoltre che non è conforme a proporzionalità subordinare una esenzione Iva ( nello specifico, cessioni intra Ue non imponibili) al rispetto di requisiti formali, quando sono sussistenti tutti i requisiti sostanziali.
Alla luce di tali criteri di diritto è dunque corretto concludere che una sanzione non è proporzionata quando punisce un comportamento che non ha determinato danni allo Stato in modo equivalente a una evasione vera e propria.
Non è difficile rilevare, peraltro, che la riforma del regime sanzionatorio – di cui al Dlgs 158/ 2015 – è stata per l’appunto ispirata a tale linea di demarcazione. Si pensi ad esempio alla derubricazione come sanzione formale della svariata casistica in cui è stato applicato erroneamente il reverse charge in luogo dell’emissione della fattura ordinaria e viceversa.
Le situazioni critiche
Restano tuttavia ancora numerosi casi di criticità e includono – oltre alla materia dell’Iva – altri ambiti come le società non operative e le attività all’estero da indicare nel quadro RW.
Si pensi ad esempio all’applicazione dell’Iva a un’operazione in realtà esente o non imponibile. Alla luce delle ultime pronunce di vertice ( Cassazione, 24289/ 2020), in tale eventualità non si può comminare la sanzione fissa da 250 a 10.000 euro, lasciando ferma la detrazione, in base all’articolo 6, comma 6, 471/ 1997, ma viene recuperata l’imposta detratta con l’irrogazione all’acquirente di una sanzione pari al 90 per cento. Si tratta però di una fattispecie che non ha determinato danni all’Erario ( il cedente ha assolto l’imposta dovuta) e che ciononostante si risolve nell’incidere il cessionario con una somma pari quasi all’intero importo dell’Iva, in violazione del principio di neutralità.
In caso di detrazione d’imposta con aliquota maggiore di quella corretta, inoltre – pacificamente ricadente nel campo di applicazione del citato articolo 6, comma 6 –, non dovrebbe potersi punire la conseguente infedeltà della dichiarazione con la sanzione dal 90% al 180% dell’imposta, poiché anche in questo caso non vi è danno per l’Erario. Tanto più che la violazione prodromica – e cioè, l’errata detrazione – è considerata formale.
Un’altra ipotesi riguarda il fornitore di esportatore abituale che cede in regime di imponibilità senza aver previamente riscontrato sul cassetto fiscale l’avvenuta trasmissione della dichiarazione di intenti da parte dell’acquirente ( articolo 7, comma 4- bis, del Dlgs 471/ 1997). È infatti prevista la sanzione dal 100% al 200% dell’imposta anche se in concreto la trasmissione è realmente avvenuta.
Inoltre – in base all’articolo 13, comma 6, del Dlgs 471/ 1997 – in caso di compensazione di eccedenze Iva nell’ambito del gruppo di imprese, la ritardata trasmissione della garanzia oltre i 90 giorni dalla scadenza della dichiarazione è punita con la misura edittale del 30 per cento. È però evidente che se la garanzia comunque viene prestata e trasmessa, seppure in ritardo, al più deve essere comminata una sanzione per violazione formale.
Le contromisure possibili
Il rimedio in caso di riscontro di sanzione manifestamente in contrasto con il principio di proporzionalità, a parte la soluzione estrema della disapplicazione della norma, è l’applicazione della riduzione fino alla metà del minimo ( ai sensi dell’articolo 7, comma 4, del Dlgs 472/ 1997), superando così la formulazione letterale di tale disposizione che richiederebbe un confronto con l’entità del tributo evaso. In questo senso, si vedano le aperture della circolare 31/ E del 2020 e della Cassazione 12639/ 2017.
Una sintetica disamina della proporzionalità in materia di Iva è infine proposta dalla Cassazione nella recente sentenza 8283/ 2022.
Anche la riforma del 2015 punta a non penalizzare le infrazioni che non danneggiano l’Erario