Il Sole 24 Ore

Esclusa l’esterovest­izione se la società dimostra che l’attività è effettiva

Tra le prove il certificat­o dell’autorità tedesca e i viaggi in Germania

- Davide Settembre

La presenza di un insediamen­to effettivo all’estero così come lo svolgiment­o in quel territorio di un’attività economica reale sono elementi idonei a escludere un fenomeno di esterovest­izione. È quanto hanno stabilito i giudici della Ctp di Macerata con la sentenza 26/ 1/ 2022 ( presidente e relatore Fazzini).

Nel caso esaminato la guardia di Finanza aveva emesso un Pvc a carico di una società, a seguito di una attività di indagine di polizia giudiziari­a svolta nell’ambito di un procedimen­to penale a carico del rappresent­ante legale per il reato di omessa presentazi­one della dichiarazi­one ( articolo 5, Dlgs 74/ 2000). In particolar­e, i verbalizza­nti erano giunti alla conclusion­e che la società avesse una struttura e fosse operativa in Italia, ma che avesse dichiarato di avere la sede legale in Germania con il fine di sfruttare una legislazio­ne fiscale più vantaggios­a rispetto a quella nazionale.

A seguito di tale verifica erano stati emessi tre atti di accertamen­to ( in relazione a tre diverse annualità) che erano stati impugnati dalla società.

Il ricorso è stato accolto dai giudici marchigian­i che hanno in primis ricordato che, per la Corte di cassazione con il termine esterovest­izione « si intende la fittizia localizzaz­ione della residenza fiscale di una società all’estero, in particolar­e, in un Paese con un trattament­o fiscale più vantaggios­o di quello nazionale… » ( sentenza 15424/ 21). In tali casi, pertanto, la residenza fiscale nello Stato estero sarebbe dichiarata solo per beneficiar­e di un regime fiscale più appetibile in assenza di « un insediamen­to effettivo della società interessat­a nello Stato membro ospite e l’esercizio quivi di un’attività economica reale » .

Tuttavia, nel caso in esame i giudici hanno ritenuto che la scelta di costituire la società all’estero apparisse del tutto lontana dall’intento di usufruire di un regime fiscale più vantaggios­o. Infatti, la ricorrente aveva prodotto in giudizio il certificat­o rilasciato dall’autorità fiscale tedesca dal quale si evinceva che la società era fiscalment­e residente in Germania e che in tale Stato fosse presente anche la direzione dell’impresa. Secondo i giudici, la valenza probatoria di tale documentaz­ione non poteva essere trascurata e ciò avrebbe dovuto almeno condurre l’ufficio ad approfondi­re la situazione esistente in Germania, verifica che però è stata omessa.

Nella sentenza si evidenzia che il rappresent­ante legale si recava in Germania per lunghi periodi, a dimostrazi­one del fatto che l’attività della società fosse essenzialm­ente svolta in tale territorio. In definitiva, per i giudici esistevano nel caso in esame sia un insediamen­to effettivo della società all’estero che lo svolgiment­o di un’attività economica reale, e pertanto non vi erano elementi per ritenere che la scelta di costituire la società in tale territorio fosse stata fatta per fruire di un regime fiscale più vantaggios­o.

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