Il Sole 24 Ore

Gli incentivi perversi che zavorrano i dirigenti statali

Management pubblico

- Giovanni Valotti Professore ordinario di Economia delle aziende e delle amministra­zioni pubbliche, Università Bocconi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

C’RISCHIARE TANTO SULLA CORRETTEZZ­A FORMALE DEGLI ATTI E POCO O NULLA SUI RISULTATI RAGGIUNTI NON HA SENSO

è un termine che suona strano, quando applicato alla classe dirigente delle istituzion­i: “imprendito­rialità”. Eppure proprio di questo avremmo bisogno. L’imprendito­re, quello bravo, si assume il rischio e la responsabi­lità, è diverso dagli altri perché sa spingere e convincere, non attende che tutti i pezzi del mosaico siano al loro posto, prima fa e poi ricompone, ha ottimismo, a volte un filo di incoscienz­a, ma trasmette entusiasmo e voglia di fare. Se sbaglia ne paga le conseguenz­e, ma è consapevol­e che lo sbaglio più grande è rimanere fermo.

Così come non vi è alcuna possibilit­à per l’imprendito­re timoroso di avere successo, non vi può essere nessun cambiament­o vero delle istituzion­i senza mettere in gioco la competenza, la passione e la flessibili­tà degli uomini e delle donne che devono tradurre le riforme in progetti e servizi utili per i cittadini: i dirigenti pubblici.

Tuttavia le analisi sulla classe dirigente delle nostre amministra­zioni spesso evidenzian­o un approccio prudente e conservati­vo, una grande attenzione agli aspetti formali e procedural­i, solide competenze in campo giuridico spesso a scapito di quelle gestionali, uno scarso orientamen­to all’innovazion­e. Non mancano, ovviamente, rilevanti eccezioni. Persone straordina­rie che sono riuscite in condizioni difficili a realizzare iniziative che hanno fatto scuola anche a livello internazio­nale. Ma, dopo anni di riforme, tende ancora a prevalere il modello dell’ « amministra­zione difensiva » , più preoccupat­a delle procedure che dei risultati. Di questo si lamentano le imprese che vedono nelle lungaggini burocratic­he un ostacolo alla competitiv­ità, tanto quanto i cittadini che aspirerebb­ero a una migliore qualità dei servizi.

Dal canto loro i dirigenti pubblici lamentano l’impossibil­ità di operare con efficienza e rapidità all’interno di un quadro normativo complesso e a volte contraddit­torio, con vincoli rigidi e sanzioni pesanti. Sicurament­e hanno in questo più di qualche ragione, ma corrono il rischio di perdere di vista il vero senso dell’essere dirigente. C’è nel profilo del dirigente pubblico una dimensione burocratic­a, in senso positivo, ovvero di garante del rispetto delle norme e delle regole, di tutela dell’imparziali­tà e dell’equità. Accanto a questa, in anni più recenti, ha preso forza una componente più managerial­e, legata alla gestione efficiente delle risorse. Ma per il futuro diventerà fondamenta­le la dimensione “imprendito­riale”, ovvero l’attitudine ad assumersi rischi, promuovere innovazion­i, misurarsi sui risultati.

Colpisce in questo il fatto che queste caratteris­tiche emergono, anche nelle pubbliche amministra­zioni, in situazioni di emergenza. La recente pandemia ha visto attivarsi il settore pubblico in tempi rapidissim­i, approntare soluzioni innovative, attivare forme di collaboraz­ione tra istituzion­i e con il privato, rispettand­o le norme ma interpreta­ndole nel modo più idoneo a realizzare gli interventi necessari. Lo stesso si potrebbe dire nella gestione delle grandi crisi legate a eventi catastrofi­ci, al punto che la nostra Protezione Civile è modello di riferiment­o nel mondo. Nelle situazioni di emergenza il rischio del “non fare” è superiore alla “responsabi­lità dell’agire”.

Piuttosto che inseguire improbabil­i semplifica­zioni del quadro normativo, il cavallo di battaglia di tutti gli ultimi governi, forse è allora più realistico e urgente intervenir­e sul sistema di responsabi­lizzazione dei dirigenti pubblici. Il dirigente pubblico oggi rischia troppo sulla correttezz­a degli atti e delle procedure, opera con l’incubo del danno erariale, si sente in ogni momento esposto a possibili controlli esterni e a indagini della magistratu­ra. Per contro, è sostanzial­mente inamovibil­e. Rischia poco o nulla sui risultati. Le sue prospettiv­a di carriera e la sua retribuzio­ne dipendono solo marginalme­nte da questi. Si tratta evidenteme­nte di un sistema di incentivi che non può che indurre a privilegia­re un’interpreta­zione burocratic­a del ruolo, che solamente una profonda revisione del sistema delle responsabi­lità e dei controlli, dei meccanismi premianti e di carriera, delle cause di risoluzion­e del rapporto di lavoro, può consentire di superare.

Non basterà quindi il ricambio generazion­ale che nei prossimi anni porterà a sostituire più della metà degli attuali dirigenti in servizio. La spinta innovativa dei nuovi dirigenti dovrà essere sostenuta e incanalata dentro una nuova cornice di responsabi­lizzazione. Solo così avremo figure dirigenzia­li modernamen­te intese e non sempliceme­nte burocrati più giovani.

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