Turchia, Cds ai massimi dalla crisi del 2008
Il Paese, già vulnerabile, è stato colpito duramente dal conflitto in corso
L’inflazione è al 70% ma la Banca centrale non alza i tassi e il governo pensa a un blocco dei prezzi
La lira continua a scendere. Il costo della protezione dei crediti - i credit default swaps - ha raggiunto i massimi dal 2008, dai tempi della grande recessione. Le quotazioni non fanno altro che registrare le gravi difficoltà che incontra l’economia della Turchia, “colpita” anche da politiche economiche fuori bersaglio.
La giornata di ieri ha segnato la settima seduta consecutiva di flessione del cambio, malgrado le forti vendite di valuta pregiata da parte delle banche statali: un dollaro costava ieri 15,4675 lire, con una flessione del 15% dall’inizio dell’anno, che si aggiunge al crollo del 44% subito l’anno scorso. I credit default swaps a cinque anni, che permettono di coprirsi dal rischio di default di un credito in lire ( quasi come una polizza assicurativa) è salito oltre i 700 punti, con un rialzo di 70 punti in una settimana. Proteggere un credito del valore di 10 milioni di dollari costa oggi 700mila dollari.
La valuta è evidentemente colpita da una forte corrente di flussi finanziari in cerca di sicurezza. Nel Paese l’inflazione ha raggiunto il 70%, mentre la Banca centrale - che ha voluto sperimentare l’ipotesi “neofisheriana” sul rialzo dei prezzi, in realtà avanzata per la bassa inflazione - ha abbassato i tassi di cinque punti percentuali l’anno scorso e li ha portati al 14%.
Nello stesso tempo il governo - puntando a un deficit pari al 3,5% del Pil - ha aumentato le spese pubbliche del 102% e i prestiti pubblici del 1.033%. Le entrate fiscali sono cresciute del 64,5% ( meno, in ogni caso, dell’inflazione).
Per rispondere alle nuove difficoltà il ministro delle Finanze, Nureddin Nebati, sta pensando di introdurre una vecchia - e non particolarmente efficiente - misura: il blocco dei prezzi. Ne ha parlato, secondo l’agenzia Bloomberg, in un incontro a porte chiuse con gli imprenditori del Paese. Ankara è un importatore di petrolio dalla Russia e di grano da Russia e Ucraina ed è stata colpita duramente dalla guerra. La Turchia non sarebbe il primo Paese a introdurre blocchi ai prezzi: il Messico ha stretto un accordo con alcune aziende per bloccare i prezzi su 24 prodotti di base, mentre la Malaysia mantiene tetti per alcuni beni di consumo.
Tutti i mercati emergenti hanno subìto in realtà la svolta restrittiva della Federal Reserve, ma la Turchia, che soffre strutturalmente di un forte deficit corrente con l’estero, è da tempo particolarmente vulnerabile. Il presidente della Banca centrale Sahap Kavcioglu ritiene però non necessario alzare i tassi solo perché altre autorità monetarie lo hanno fatto.
In un provvedimento parallelo il governo ha alzato a 400mila dollari, da 250mila, il valore degli immobili che, acquistati in Turchia, permettono di ottenere la cittadinanza. Le norme, molto usate oggi da ucraini e russi, ma anche da iraniani e iracheni, hanno contribuito al rialzo delle quotazioni, scatenando le proteste dei cittadini.