Autotrasporto, perse oltre 11mila imprese
Tra il 2016 e il 2021 espulso dal mercato circa il 21% delle imprese individuali
Tra i 100 numeri per capire l’autotrasporto italiano, il volume presentato ieri in Fiera Milano nell’ambito del Transpotec ( il salone del trasporto pesante e della logistica), uno colpisce più di altri: il tramonto dei padroncini. Dal 2016 al 2021 le imprese individuali dell’autotrasporto merci sono passate da 54.681 a 43.296, pari a un saldo negativo di 11.385 unità (- 20,82%). E l’attuale congiuntura, con i rincari record del carburante ( gasolio, Gnl e AdBlue), potrebbe peggiorare ulteriormente la situazione, con una miriade di micro imprenditori in lotta per la sopravvivenza e a rischio espulsione dal mercato. Per contro, cresce il numero delle società di capitali, passate da 20.195 a 24.781, con un saldo positivo di 4.586 unità (+ 22,71%). Dunque, un autotrasporto più imprenditoriale e meno familiare.
Del resto, il declino dei padroncini ( muniti quasi sempre di un unico veicolo), che per decenni ha rappresentato l’ossatura dell’autotrasporto nazionale, era visibile da tempo: le prime avvisaglie risalgono al periodo tra il 2010 e il 2016. Più che alla pandemia, dunque, il tramonto dei padroncini sembra maggiormente legato alla concorrenza – spietata e spesso sleale – dei vettori e degli autisti dei paesi dell’Est europeo, entrati a far parte dell’Unione tra il 2004 ( Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria) e il 2007 ( Romania e Bulgaria). Di fronte a un’offerta di trasporto basata sul basso costo del lavoro e su una tassazione più morbida, molte imprese individuali italiane non hanno retto.
Ma c’è anche un altro fattore che costringe i padroncini ad abbandonare il camion o, quantomeno, a confluire in realtà più grandi e articolate: una vita disagiata non più adeguatamente remunerata e, per di più, complicata da una serie di disfunzioni prodotte dal deficit del nostro sistema logistico e infrastrutturale. Deficit che chi è da solo, e quindi più debole, non riesce a sopportare.
Esempio: le attese estenuanti al carico e scarico delle merci ( i tempi morti). Anche in questo caso i numeri contenuti nel volume sono eloquenti: in un arco d’impegno medio di 11,28 ore al giorno, è stato calcolato che chi guida un camion si trova costretto a trascorrere in media quasi la metà del tempo ( 4 ore e 35 minuti) nell’attesa che vengano espletate le operazioni di carico e scarico. Un intervallo interminabile, causato da una lunga serie di inefficienze lungo la catena logistica ( errata pianificazione degli spazi di magazzino, tempi di accettazione delle merci troppo ridotti, lungaggini burocratiche). Tutto ciò non solo determina un’importante perdita di produttività, ma ha anche delle ricadute sullo stress e sullo stato di salute psicofisico complessivo del trasportatore, derivante sia dai tempi morti sia dall’ansia di dover recuperare e riallinearsi alla tabella di marcia. Non sorprende, quindi, che questa situazione crei disaffezione nei confronti di chi deve svolgere in completa autonomia il servizio di trasporto merci.
Inoltre, come è stato scritto più volte, il settore del trasporto pesante è da tempo in crisi di vocazioni. Lo conferma un ulteriore dato contenuto nel rapporto: la fuga dei giovani. Dal 2016 al 2021, il numero delle imprese giovanili ( 18- 35 anni) è passato da 5.309 unità a 4.414 (- 16,8%). Tra le sfide più impegnative dell’autotrasporto italiano, soprattutto quello artigiano, c’è il recupero della capacità di parlare al futuro delle nuove generazioni.
‘ Pesano la concorrenza ( spesso sleale) delle imprese dell’Est e le disfunzioni lungo la catena logistica
‘ LO SCENARIO
I rincari record del carburante ( gasolio, Gnl e AdBlue), peggiorano la crisi del settore