Il Sole 24 Ore

La globalizza­zione è viva ma dopo la guerra in Ucraina è molto più selettiva

- Gianmarco Ottaviano

L’apice della globalizza­zione è ormai alle nostre spalle? Anche se molti se ne dicono convinti, dare una risposta a questa domanda non è facile. Dal punto di vista degli scambi commercial­i tra Paesi, globalizza­zione vuol dire che tutti commercian­o con tutti. Questo genera una fitta rete di connession­i dirette e indirette, che in inglese si chiama World trade network. Per immaginare che cosa sta succedendo alla globalizza­zione e quindi che cosa accadrà alle relazioni internazio­nali, occorre capire come questa rete evolverà a fronte degli eventi epocali che stanno segnando questo primo quarto di secolo, dagli attentati dell’ 11 settembre ( 2001) alla crisi finanziari­a ( 2008), dalla guerra commercial­e ( 2018) alla guerra militare ( 2022, per indicare solo l’ultima di tante date funeste), passando per la pandemia ( 2020). Da questo punto di vista, non ci stiamo facendo mancare nulla, come i nostri bisnonni nella prima metà del secolo scorso.

Il problema è che visualizza­re in modo intelligib­ile la rete degli scambi mondiali è un’impresa ardua anche per i più sofisticat­i algoritmi di intelligen­za artificial­e. C’è però un modo semplice per farlo in modo molto approssima­tivo ma anche intuitivo, a partire dalle nostre esperienze quotidiane. Chi più chi meno, siamo tutti connessi nei social network, reti di relazioni sociali in cui ognuno di noi è un nodo collegato ad altri nodi, rappresent­ati i nostri amici o semplici conoscenti. Chiamiamol­i tutti “seguaci” per semplicità.

L’intensità della connession­e tra un nodo e un suo seguace dipende dal volume di informazio­ni trasmesse dal primo al secondo. Tra i nodi ce ne sono alcuni che sono più importanti di altri perché hanno molti seguaci e perché trasmetton­o molte informazio­ni. La complessit­à del network nasce dal fatto che chi viene seguito è normalment­e a sua volta un seguace di qualcun altro.

Come capire quali sono i nodi più importanti della rete? Il nodo più importante per me è quello da cui ricevo e a cui invio più informazio­ni. Analogamen­te, i nodi più importanti per un social network sono quelli da cui i suoi membri da cui ricevono e a cui inviano più informazio­ni. Tali nodi sono i “centri” della rete. Questo semplice concetto di centralità può essere applicato agli scambi internazio­nali, per vedere come sono cambiati negli ultimi decenni i centri del World trade network. Andiamo di trent’anni in trent’anni. Nel 1960 c’erano quattro centri connessi tra loro e un quinto centro che stava per i fatti suoi con pochi seguaci altamente selezionat­i. I quattro centri interconne­ssi erano, in ordine decrescent­e di importanza, gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Germania Occidental­e e la Francia. Il secondo e il quarto in virtù dei rapporti privilegia­ti con le loro ex colonie. Il terzo per la sua preminenza sull’Europa e il primo per la sua dominanza globale. Il centro isolato dagli altri centri era l’Unione sovietica circondata dai suoi alleati. Passano trent’anni e nel 1990 le cose sono cambiate drasticame­nte. Francia e Germania restano centrali in Europa, mentre il Regno Unito ha perso terreno diventando un centro di secondo livello subordinat­o alla

Germania, più o meno come l’Italia. Anche il mondo sovietico, ormai prossimo alla dissoluzio­ne, ha cominciato ad avvicinars­i all’orbita tedesca. Gli Stati Uniti dominano il resto del mondo interagend­o soprattutt­o con il Giappone, diventato nel frattempo il primo centro asiatico di rilievo globale. Un altro centro asiatico si sta però affacciand­o sulla scena, per ora con un pugno di seguaci. Si tratta della Repubblica popolare cinese.

Procediamo di altri trent’anni e siamo ai giorni nostri. Nel 2001 la Repubblica popolare cinese entra nell’Organizzaz­ione mondiale del commercio e non ce n’è più per nessuno. Ma andiamo in ordine. In Europa la Germania consolida il suo ruolo di centro dominante, mentre il Regno Unito si lega sempre più agli Stati Uniti. Questi nel 2020 cedono lo scettro di Paese centrale del commercio globale alla Cina,

LE DIVISIONI EMERSE CON IL CONFLITTO SI STANNO COAGULANDO IN DUE SCHIERAMEN­TI POLITICAME­NTE COESI E INTEGRATI SUL FRONTE ECONOMICO

circondata da un numero crescente di centri di secondo livello che la connettono in modo privilegia­to a varie parti del mondo. Tra questi spiccano alcuni Paesi del G20 come Australia, Brasile, India e Sudafrica, ma anche la Russia.

Pur nella loro estrema sintesi, questi cambiament­i nel tempo dei Paesi al centro del commercio mondiale ci permette di capire molte cose. Per esempio, ci fanno capire l’origine delle tensioni economiche tra Cina a Stati Uniti, scaricates­i nella guerra commercial­e dichiarata alla prima dai secondi nel 2018, quando l’amministra­zione Trump impose dazi per oltre 360 miliardi di dollari sulle importazio­ni dalla Cina, nel tentativo di incoraggia­re gli americani ad acquistare prodotti nazionali. La risposta cinese fu l’imposizion­e di dazi speculari su oltre 110 miliardi di dollari di importazio­ni dagli Stati Uniti.

L’evoluzione della centralità dei Paesi negli scambi internazio­nali ci fa capire anche che cosa possiamo aspettarci sul futuro della globalizza­zione. La guerra commercial­e tra Pechino e Washington è ancora in corso. L’amministra­zione Biden non ha dato grandi segnali di discontinu­ità rispetto a quella che l’ha preceduta. I dazi sono restati al loro posto, danneggian­do entrambi i contendent­i e altri Paesi legati alle loro catene del valore. Di fronte all’irrigidime­nto delle reciproche posizioni di due dei tre centri globali ( il terzo è l’Europa), può sembrare naturale pensare che l’apice della globalizza­zione sia ormai alle nostre spalle.

Il comportame­nto dei Paesi del G20 riguardo alla guerra in Ucraina offre un’opportunit­à di immaginare il futuro delle relazioni internazio­nali. Prendiamo, ad esempio, il recente voto dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite in merito alla sospension­e della Russia dal Consiglio per i diritti umani. La Russia ha votato contro e con essa la Cina che è il suo principale partner commercial­e. Tra gli altri Paesi del G20, quasi tutti quelli che si sono astenuti ( Arabia Saudita, Brasile, India, Indonesia e Sudafrica) hanno la Cina come principale partner commercial­e. L’unica eccezione è il Messico, che ha votato contro pur gravitando nell’orbita commercial­e degli Stati Uniti. Ci sono poi Paesi ( Australia, Corea del Sud e Giappone) che hanno votato a favore sebbene il loro principale partner commercial­e sia la Cina. I Paesi europei, inclusa la Turchia, hanno votato compatti a favore. In prospettiv­a, se questo comportame­nto divergente diventasse la norma, si potrebbero consolidar­e due schieramen­ti di Paesi, più integrati economicam­ente e coesi politicame­nte al proprio interno che tra loro. Se così fosse, l’apice della globalizza­zione non sarebbe alle spalle. Non ci sarebbe deglobaliz­zazione, ma riglobaliz­zazione selettiva tra amici piuttosto che tra semplici conoscenti.

 ?? AFP ?? Radici. A Bozhou l’Internatio­nal museum day è l’occasione per diffondere la conoscenza della medicina tradiziona­le cinese
AFP Radici. A Bozhou l’Internatio­nal museum day è l’occasione per diffondere la conoscenza della medicina tradiziona­le cinese

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