Tregua tra Salvini e Meloni a Verona, ma la campagna chiude in ordine sparso
Nessuna iniziativa comune tra Letta e Conte nonostante le assicurazioni sull’alleanza
Dopo tanti botta e risposta e frecciatine velenose, Matteo Salvini e Giorgia Meloni tornano assieme a Verona per sostenere il sindaco uscente Federico Sboarina. Una reunion orfana però di Forza Italia, che ha deciso di appoggiare la candidatura dell’ex leghista ed ex primo cittadino veronese Flavio Tosi. Una fotografia monca, a conferma che i rapporti nel centrodestra restano molto complicati nonostante sulla carta solo in 5 capoluoghi su 26 non è stata raggiunta l’intesa ( oltre Verona, Parma, Catanzaro, Viterbo, Messina). Ma i rapporti sono complicati anche sul fronte opposto, dove si va insieme in 18 città su 26. Il democratico Enrico Letta e il pentastellato Giuseppe Conte, nonostante le continue conferme di voler portare avanti il cosiddetto campo largo fino alle politiche del 2023, per le comunali di domenica non hanno trovato il tempo per una iniziativa in comune. E non a caso oggi, nel giorno della chiusura della campagna elettorale prima del silenzio di sabato, ognuno andrà per conto proprio: Salvini sarà ad Alessandria, Meloni va all’Aquila, Letta chiude in mattinata a Lodi mentre Conte rientra nella sua Puglia e fa tappa a Taranto.
Del resto, sia nel centrodestra sia nel centrosinistra in queste ultime settimane a prevalere sono stati più i distinguo che le prese di posizione comuni. Basti pensare alla guerra in Ucraina, con Giorgia Meloni e i suoi Fratelli d’Italia vicini più al Pd di Letta e alla posizione atlantista portata avanti dal premier Mario Draghi che al pacifismo neutralista sbandierato da Salvini tanto quanto da Conte. Vedremo il prossimo 21 giugno se i leader della Lega e del M5s avranno voglia di spingere sull’acceleratore e mettere così alle strette i loro alleati sulla risoluzione in Aula che seguirà le comunicazioni del premier in vista del Consiglio europeo di fine mese. Molto dipenderà dall’esito del voto di lista nei comuni lunedì mattina: chiaro che un eventuale passo falso della Lega ( soprattutto al Nord) e del M5s indurrebbe a leccarsi più le ferite interne che ad assumere nuove iniziative su cui troverebbero forti resistenze nei loro stessi partiti: in molti li attendono al varco, non ultimi il ministro degli Esteri pentastellato Luigi Di Maio e il ministro dello Sviluppo nonché numero 2 del Carroccio Giancarlo Giorgetti, entrambi tra i più leali sostenitori di Draghi. Conte, in ogni caso, resta convinto che la linea pacifista e “no armi” possa aiutarlo ad arginare la frana che da tre anni a questa parte ha ridotto di ben due terzi i consensi nei confronti del M5s. « La nostra asticella è alta, non scendiamo a compromessi » , dice Conte per giustificare la scelta di andare da soli in alcuni Comuni. Ma l’ex premier giura di non voler strappare sull’Ucraina il 21 giugno: « Basta nuove armi all’Ucriana, ma non voglio mettere in crisi il governo. Lavoriamo per rinforzarlo, ma vogliamo essere determinanti » . Anche perché a preoccupare Conte, e pure il suo “alleato” Letta, è soprattutto il nuovo verdetto che arriverà dal Tribunale di Napoli a urne chiuse: i giudici potrebbero di nuovo invalidare le votazioni degli iscritti su statuto e leadership congelando di conseguenza tutti gli organi dirigenti a partire dalla presidente di Conte.
Anche Salvini deve guardarsi le spalle: non dai giudici, ma dall’alleata Meloni. Ieri il leader della Lega se l’è presa con il premier Draghi e il Capo dello Stato Sergio Mattarella per non aver mai parlato dei referendum sulla giustizia ( « incredibile che non abbiano speso una parola » ) e ha rilanciato la richiesta di tagliare il prezzo dei carburanti per tutta l’estate. Ma la cosa che più sta a cuore al leader della Lega in questo momento è la tenuta del partito al Nord, dove Fratelli d’Italia oltre a salire nei sondaggi ha anche fatto campagna acquisti tra i leghisti locali.