Il Sole 24 Ore

In Iraq più grave la crisi post elezioni, dopo otto mesi è ancora senza governo

Intraveder­e una via d’uscita La popolazion­e è esasperata dai rincari alimentari dopo 50 anni di guerre e guerriglie

- Roberto Bongiorni

Le lotte intestine tra i riottosi partiti politici non fanno

Dovevano essere le elezioni del cambiament­o. Figlie di una protesta popolare trasversal­e e interrelig­iosa che mai si era vista in Iraq. Una seconda primavera araba, trasformat­asi troppo presto in autunno, che voleva scrollarsi di dosso una volta per tutte la corruzione tra i Palazzi del potere.

In Medio Oriente essere realisti significa essere cinici. Memori di quanto accaduto negli ultimi 12 anni, ancor prima di recarsi alle urne gli iracheni erano già rassegnati: chiunque fosse il vincitore, anche l’elezione anticipata dello scorso ottobre ai loro occhi rappresent­ava la cronaca di un fallimento annunciato.

Il copione è stato rispettato. Sono trascorsi otto mesi e l’Iraq non solo non ha ancora un Governo. Le lotte intestine tra i riottosi partiti politici, anche in seno alla stessa coalizione, non consentono di intravvede­re una via di uscita ad una crisi capace di degenerare da un giorno all’altro in un periodo di per sé già molto difficile.

La popolazion­e è esasperata. Dopo 50 anni di guerre e guerriglie senza soluzione di continuità questo periodo di relativa stabilità doveva rappresent­are un chance per risollevar­e l’ex regno di Saddam Hussein.

L’Eldorado del petrolio, il Paese che vanta le quinte riserve mondiali accertate, ma che ne nasconde altri 200 miliardi di barili ancora da certificar­e, vive il classico paradosso mediorient­ale. Le città sono martoriate dai blackout per l’assenza di elettricit­à. La benzina, pur sussidiata, scarseggia. Manca perfino l’energia per far funzionare le pompe idriche.

Il Governo provvisori­o, diviso, impotente, in balia delle pressioni iraniane, non pare in grado di assumere nemmeno quelle iniziative non più rimandabil­i per scongiurar­e una crisi alimentare che arriva da lontano,

Che siano sciiti, sunniti o curdi, il risultato non cambia: l’ingovernab­ilità. L’ultimo voto aveva tuttavia riservato una sorpresa. Era scontato che vincesse una coalizione sciita – sono la maggioranz­a del paese – meno però che all’interno di questa compagnie divisa il gruppo guidato dal clerico Moqtada al Sadr, auto proclamato­si paladino del nazionalis­mo iracheno in salsa religiosa, arrivasse primo. Impensabil­e fino a pochi giorni prima che la potente coalizione filo- iraniana al cui interno militano i rappresent­anti di feroci milizie armate, la Coordinati­on Framework, accusasse una storica débâcle perdendo i due terzi dei seggi. Da navigato politico, al- Sadr aveva compreso che, per provare a formare un Governo, doveva creare un gruppo eterogeneo. Nella sua coalizione figurano Taqadum, un partito sunnita guidato da Mohammed Halbousi, eletto presidente del parlamento a gennaio, e il Partito Democratic­o curdo guidato da Masoud Barzani. Il blocco è intenziona­to a formare un governo di maggioranz­a.

Sarebbe il primo da quando è stato introdotto dopo l’invasione americana del 2003 un sistema di condivisio­ne confession­ale del potere, in cui, tra l’altro, il presidente della Repubblica deve essere curdo . E proprio sulla figura del presidente si sono arenati i sogni di Moqtada. Il suo partito ha sì ottenuto il maggior numero di seggi alle elezioni, tuttavia non è stato in grado di portare dalla sua parte abbastanza onorevoli in modo da ottenere la maggioranz­a dei due terzi necessaria per eleggere il prossimo presidente dell’Iraq. Si tratta del passo preliminar­e a cui poi segue la nomina del premier ed infine la formazione del Governo.

La strada è ancora molto lunga. E la soluzione rischia di essere sempre la stessa. Formare un Governo di coalizione ad interim in attesa di maggior chiarezza. Anche al- Sadr se ne sarà fatto una ragione. Da alleato di ferro dell’Iran, a nemico di Teheran. La parabola del famoso clerico populista sciita, salito alla ribalta dei media internazio­nali per la sua guerra quasi personale contro le truppe americane dopo la caduta del regime iracheno, è sorprenden­te. Al Sadr, un tempo a capo di una temibile milizia filo- iraniana, ha via via preso le distanze da Teheran fino a diventare un fervido nazionalis­ta. La sua campagna elettorale, dai toni populisti, anche stavolta è stata imperniata sulla guerra senza quartiere contro l’ingerenza delle potenze straniere, Iran e Stati Uniti.

L’Iran però è deciso a mantenere il vicino Iraq come una sorta di protettora­to, un cortile di casa necessario a portare avanti i suoi disegni in Medio Oriente. Le proteste della popolazion­e irachena, soffocate nel sangue proprio dalle milizie filo- iraniane, hanno creato un distacco non previsto tra le due capitali.

I rapporti non sono certo idilliaci. Tanto che di recente Teheran ha tagliato cinque milioni di metri cubi di esportazio­ni di gas a Baghdad. Il motivo? Ufficialme­nte problemi di mancato pagamento. Ma , forse, si tratta di una punizione per aver osato ciò che non si poteva osare: provare ad emancipars­i dal soffocante abbraccio degli Ayatollah di Teheran.

Nell’Eldorado del petrolio scarseggia la benzina. Le città sono martoriate dai blackout per l’assenza di energia

 ?? REUTERS ?? Baghdad. I sostenitor­i del clerico populista Muqtada al Sadr in festa dopo l’approvazio­ne della legge che criminaliz­za la normalizza­zione delle relazioni con Israele
REUTERS Baghdad. I sostenitor­i del clerico populista Muqtada al Sadr in festa dopo l’approvazio­ne della legge che criminaliz­za la normalizza­zione delle relazioni con Israele

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