Aperto il vaso di Pandora del valore della terra che attira gli investimenti
Il cambiamento climatico, la pandemia e la guerra in Ucraina fanno da sfondo ai crescenti investimenti nell’agroalimentare. Le asset class alternative sono senza dubbio interessanti quando i mercati globali sono in evoluzione e, negli ultimi anni, l’agroalimentare ha attirato i fondi di investimento, soprattutto venture capital e private equity, grazie a una forte spinta innovativa tecnologica.
Ora però ci sono altri investitori che iniziano a guardare con interesse il settore e potrebbero scoperchiare il vaso di Pandora del “vero” valore della terra. Lo scorso anno i fondi di venture capital hanno investito quasi 52 miliardi di dollari in aziende innovative nell’agroalimentare, un aumento del 85% rispetto al 2020 . L’agrifoodtech, decollato con la pandemia, è ancora oggi la categoria di investimenti più in voga. È un trend globale che non accenna ad arrestarsi perché in fondo la sicurezza alimentare è una delle chiavi di volta per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità al 2050.
Gli Stati Uniti sono il principale mercato, con un universo di startup che ha raccolto il 41% degli investimenti globali e rappresenta il 34% dei deal chiusi nel 2021. La maturità del mercato americano rispetto al resto del mondo si evince anche dalla diversità delle startup e dai round di investimento Serie C, D e oltre. Sei dei 15 maggiori investimenti erano in aziende a monte della filiera, con grandi nomi come Impossible Foods, Pivot Bio ( cibo biologico), Bolt Threads ( biomateriali) e Indigo Ag ( carbon farming, biomateriali, digitalizzazione dell’agricoltura). Nel resto del mondo, soprattutto in Europa, i fondi sono focalizzati in gran parte nelle startup a valle che hanno assorbito il 70% dei 30,7 miliardi di dollari investiti nel 2021; le società di home delivery europee da sole ne hanno assorbito il 44%, in Cina il 75% ( circa 5,4 miliardi).
Le aziende tecnologiche, più o meno mature, però non rappresentano una vera discontinuità per i fondi di investimento, che siano nell’agroalimentare sembra quasi incidentale.
E se gli Usa sono il mercato più avanzato in questo senso, in Europa gli investitori istituzionali guardano alla produzione primaria con sempre maggiore interesse, non solo per le tecnologie, ma anche per accompagnare la transizione ecologica: Tikehau Capital ha lanciato un fondo da 1 miliardo di euro dedicato all’agricoltura rigenerativa ( vedi Carbon farming).
Ma la vera innovazione forse viene da un altro tipo di investitore, il più tradizionale: i fondi real estate. Ed è proprio la terra a rappresentare l’asset class più insolita ( paradossalmente) nel fiume di investimenti che l’agricoltura sta attirando. Un tempo territorio di fondi pensionistici e assicurativi, a causa di tre fenomeni concatenati, i terreni agricoli diventano oggi un’opzione valida anche per i fondi di real estate normalmente concentrati su proprietà commerciali e con orizzonti più brevi.
L’incertezza causata dagli eventi nefasti degli ultimi 3 anni ha attirato nei mercati gli investitori più aggressivi e congelato i capitali nelle tasche di quelli più conservativi in attesa che le acque si calmassero. Di conseguenza, secondo fenomeno, l’immobiliare non residenziale ha subìto una flessione a causa soprattutto della pandemia e dello scenario macro- economico. Retail e ricettività risalgono lentamente, mentre il rimbalzo c’è stato per il settore della logistica. Un dato questo che ci collega al terzo fenomeno, accentuato dagli effetti della guerra: la terra è un bene sempre più scarso. Mentre da un lato infatti si cerca di capire come aumentare la produzioni agricole per mitigare la dipendenza dalle importazioni, in Italia ogni anno si cementifica circa il 7% della superficie disponibile, la metà circa viene occupata dai poli logistici. A differenza di un hotel o un centro commerciale, sensibili alle crisi globali e all’inflazione che ne è conseguita, l’agricoltura è in generale anticiclica e più stabile. Possono variare i prezzi della produzione, ma una domanda c’è, sempre. Possono variare le rese, ma c’è ( almeno) il paracadute della Politica agricola comunitaria. Infine, si pensa sempre alla terra come un investimento poco remunerativo, ma in tempi di incertezza, vale il “pochi, maledetti e sicuri” e il 2% netto è forse sufficiente ( una stima cautelativa, in realtà potrebbe essere anche molto di più con una buona gestione agricola). Ma c’è di più, perché la terra ha un valore intrinseco da cui dipende la nostra sopravvivenza. Tra le asset class è forse la più antica, ma quello che la rende interessante oggi è la ragione sottostante: in generale i terreni agricoli rientrano nella più ampia categoria di investimenti in capitale naturale, cioè mirati a valorizzare la conservazione di aree naturali e dei servizi ecosistemici essenziali, un valore che complessivamente stimato in 140mila miliardi di dollari. Se la sicurezza alimentare traina gli investimenti nell’agrifoodtech è altrettanto vero che essa dipende direttamente dalla salute del capitale naturale. Il settore agrifood, che globalmente vale circa 5mila miliardi di dollari, si basa sui servizi che l’ecosistema è in grado di fornire. L’evaporazione dalle foreste e dai corpi idrici, ad esempio, garantisce sufficienti precipitazioni; l’impollinazione sostiene tra i 235 ei 577 miliardi di dollari della produzione annuale mondiale di colture e così via. Se il vero valore dell’investimento dunque risiede nel capitale naturale, per gli investitori che hanno fiutato l’opportunità si pone ora il tema del prezzo. Di certo non può essere il catasto il punto di riferimento, né l’andamento delle compravendite, troppo influenzate da rapporti di vicinato, misure empiriche, detassazione e rapporti di parentela. Un terreno dovrebbe essere invece valutato in base alla salute dell’ecosistema in cui si colloca, a partire dalla valutazione economica del grado di biodiversità e dalla resilienza delle fonti di acqua a cui attinge per esempio. Se così fosse, visto l’impatto crescente del cambiamento climatico e il bisogno di aumentare la produzione di cibo, per la prima volta la natura potrebbe essere un investimento più appetibile della tecnologia.