Inflazione Usa da record, Borse ko Milano crolla del 5,1%, spread a 233
A maggio balzo dell’ 8,6% per i prezzi Usa, il dato peggiore degli ultimi 40 anni Penalizzati in particolare i titoli bancari, l’Europa brucia 265 miliardi
A maggio l’inflazione Usa balza dell’ 8,6% ai massimi da 40 anni e manda al tappeto le Borse internazionali. Già deboli all’esordio dopo le decisioni di giovedì della Bce in materia di tassi. In Europa il venerdì nero ha volatilizzato 265 miliardi di capitalizzazione, di cui 39 sulla piazza di Milano. La Borsa italiana chiude con il ribasso più ampio in Europa (- 5,17%), trascinata dalla debolezza dei titoli bancari. Lo spread tra Bund tedesco e BTp si allarga ancora fino a 233 punti base.
Venerdì nero sui mercati finanziari con intense vendite corali tanto sull’azionario quanto sulle obbligazioni con conseguente ulteriore rialzo dei rendimenti. In Europa maglia nera per Milano (- 5,17%), zavorrata dai titoli bancari che pagano le nuove tensioni sui BTp con conseguente ampliamento del differenziale con la Germania a 233 punti. Seduta pesante anche a Wall Street con l’indice S& P 500 a un passo dall’ingresso nel “mercato orso”.
A dare il colpo di grazia a una giornata cominciata male in Europa è stato nel pomeriggio il dato sui prezzi al consumo negli Usa, che ha confermato che l’inflazione resta il nemico da combattere. Anche per quelle aree economiche, come gli Stati Uniti, che finora si sono dimostrate più aggressive di altre avendo già alzato i tassi di 75 punti base con in programma rialzi a cascata nei prossimi mesi. Nel mese di maggio l’inflazione è balzata negli Usa all’ 8,6% su base annua ( in rialzo rispetto all’ 8,3% di aprile e oltre l’ 8,3% atteso), dell’ 1% su base mensile ( in rialzo rispetto allo 0,3% di aprile e allo 0,7% stimato). Depurando i prezzi per le componenti più volatili ( quindi alimentari ed energetici) ed ottenendo l’inflazione “core” si è invece registrato il terzo calo di fila, con il tasso sceso al 6% dal 6,2% del mese precedente. Tuttavia gli analisti si aspettavano un 5,9%. Di conseguenza l’unico numero che sulla carta avrebbe potuto mettere buon umore in realtà ha contribuito esso stesso ad alimentare il sentiment negativo.
Il risultato sono state fitte vendite degli investitori sul mercato azionario statunitense, con il Nasdaq 100 scivolato di oltre il 3% sotto i 12mila punti e l’S& P 500 in calo di circa il 3% in area 3.900 e nuovamente vicino alla soglia dei 3.850 che lo introdurrebbe, a fronte di una perdita a quel punto superiore al 20% dai massimi, all’interno di un “bear market”. Il rendimento dei bond decennali Usa è intanto tornato sotto la soglia d’attenzione del 3,2% che poche settimane fa era stata “respinta” dal mercato.
Sin dalla mattinata, prima quindi di aggiornare l’agenda macro statunitense, le Borse europee stavano soffrendo dei propri mali alimentati dall’incertezza di fondo lasciata il 9 giugno dalla Banca centrale europea e dal governatore Christine Lagarde. Nell’annunciare un primo rialzo dei tassi da 25 punti base a luglio ( a cui seguirà uno a settembre, potenzialmente anche da 50 punti base in scia ai prossimi dati economici) Lagarde non ha pronunciato parole magiche come “soft landing”, molto utilizzate invece di recente dal collega americano Jerome Powell. Questo ha preoccupato gli investitori, alimentando i rischi nell’Eurozona di uno scenario di stagflazione, quel microclima macro caratterizzato dalla contemporanea presenza di bassa crescita e inflazione. In più, come se non bastasse, è tornato lo spettro della rischiosità dei Paesi periferici, un tempo chiamato Piigs, in virtù del termine del sostegno monetario ( quantitative easing). Questo spiega perché ieri lo spread BTpBund sulla scadenza a 10 anni si è impennato a 233 punti ( come non accadeva da maggio 2020) con i tassi decennali italiani balzati al 3,8%, livelli che non si vedevano da febbraio 2014. Sono tornati indietro di otto anni anche i tassi a 5 anni, che ieri hanno superato la barriera del 3%. Non è quindi un caso se il listino azionario italiano, sbilanciato sui titoli finanziari, a loro volta sbilanciati sui bond governativi italiani, ha sofferto più di tutti perdendo il 5% a fronte di un calo medio dei listini europei ( Eurostoxx 50) del 3,2%. I titoli bancari italiani nella seduta di ieri hanno perso nel complesso l’ 8,6% ( indice settoriale), ampliando il rosso da inizio anno al 22%. Tra i più venduti Banco Bpm (- 11%), UniCredit (- 8%), Intesa Sanpaolo (- 6,5%). In un sola seduta la capitalizzazione dei titoli bancari italiani è scesa di 5,5 miliardi. Da inizio anno il passivo ammonta a 21 miliardi ( da 101 a 80 miliardi). A livello europeo il comparto ha lasciato sul terreno il 5% nell’ultima seduta, il 12% da inizio anno.
La forte incertezza in cui sono piombati gli asset finanziari europei è testimoniata dall’andamento dell’euro. I manuali di economia insegnano che quando una banca centrale annuncia manovre aggressive, come fatto dalla Bce giovedì, la valuta di riferimento dovrebbe apprezzarsi. Invece l’euro ieri ha continuato a scendere nei confronti del dollaro tornando a 1,05 e segnando un calo del 2,2% in 48 ore. Come mai? Per due motivi. Innanzitutto è il segnale che gli investitori non hanno creduto del tutto alla retorica della Bce sul percorso di rialzo dei tassi ( « che potrebbero continuare fino a che l’inflazione attesa non si stabilizzi al 2% » ), temendo che il livello di aggressività annunciato possa tramutarsi in recessione prima di completarsi. In secondo luogo il balzo dei rendimenti nei Paesi periferici ( con i tassi italiani secondi solo a quelli della Grecia) torna a disegnare nubi sull’Eurozona e sulla sua valuta. Senza dimenticare l’effetto generale “flight to quality” innescato ieri sui mercati finanziari globali, che solitamente rafforza i flussi verso il biglietto verde, come documentato anche dal balzo del dollar index oltre i 104, posizionandosi sugli stessi livelli del 2003.
Il clima di tensione crescente è emerso anche dall’aumento dell’acquisto di assicurazioni put da parte degli operatori, come documentato dal balzo dell’indice Vix del 10% a 28 punti. Le uniche a tenere nella burrasca di ieri sono state le materie prime con il Crb index in rialzo dello 0,2%, tornato sui livelli del 2011. Non è però una bella notizia per gli amanti del risk- on, dato che le materie prime sono notoriamente la classe di investimento che più di tutte protegge dall’inflazione. E se continuano a salire ( lo stesso indice è balzato del 235% dai minimi di marzo 2020) vuol dire che la battaglia intrapresa dalle banche centrali proprio contro l’inflazione è ancora lontana dall’essere vinta.
Seduta pesante anche a Wall Street con l’indice S& P 500 a un passo dall’ingresso nel « mercato orso »
Torna lo spettro della rischiosità dei Paesi periferici a causa del termine del sostegno monetario