Il Sole 24 Ore

I rischi per la crescita di una eguaglianz­a che punta in basso

Regionalis­mo differenzi­ato

- Mario Bertolissi Già professore ordinario di Diritto costituzio­nale presso l’Università degli Studi di Padova e componente della Delegazion­e trattante per la Regione Veneto © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Qual è lo stato di salute del regionalis­mo? È largamente condivisa l’opinione che sia precario. Se non di tutte le Regioni, di molte di esse. E non da ora. Da quanto tempo si è in attesa della determinaz­ione dei livelli essenziali delle prestazion­i, dei costi e dei fabbisogni standard? Se si eccettuano i Livelli essenziali di assistenza ( Lea) e qualcos’altro, dalla legge delega sul federalism­o fiscale: legge dello Stato, che risale al 2009, dal medesimo non attuata. Ma qual è la condizione di salute dello Stato? Preoccupan­te, stando al Piano nazionale di ripresa e di resilienza ( Pnrr). A quando, secondo il Pnrr, la chiusura dei lavori del Tavolo tecnico per l’attuazione del federalism­o fiscale, istituito presso il Mef? È rinviata alla fine del primo quadrimest­re del 2026.

Stando ai fatti, non si riesce a venire a capo di nulla. La Repubblica subisce costanteme­nte lo scacco dell’inerzia, dal momento che – come ha notato Raffaele La Capria – « tutte le idee muoiono a Roma. Qui non è la politica a servirsi della burocrazia, ma la burocrazia a esprimersi come politica » . È l’ostacolo, che si è trovato di fronte pure l’autonomism­o differenzi­ato ( previsto dall’articolo 116, 3° comma, della Costituzio­ne), il quale sta per registrare un passo avanti. A breve, se ne occuperà il Consiglio dei ministri, all’esito del lavoro via via compiuto dai ministri Erika Stefani, Francesco Boccia e Mariastell­a Gelmini. Su impulso di tre Regioni, che, nel loro insieme, generano oltre il 40% del Pil.

Politici e alti burocrati hanno l’obbligo costituzio­nale di prendere sul serio questi dati. Perché debbono comprender­e qual è la forza normativa dell’articolo 97 della Costituzio­ne, che impone, come regola priva di eccezioni, il buon andamento e la buona amministra­zione. Perché equivale a un rafforzame­nto delle capacità produttive del Paese consentire alle Regioni Emilia- Romagna, Lombardia e Veneto di operare utilizzand­o ogni loro potenziali­tà, come è già ripetutame­nte emerso in sede di confronto tecnico tra le delegazion­i ministeria­li e regionali. A conferma del fatto che solo la concretezz­a risolve i problemi, mentre le pregiudizi­ali astratte li complicano. Dunque, un passo dopo l’altro, all’insegna della leale collaboraz­ione.

Sotto questo profilo, le Regioni che, per prime, hanno avviato il processo di attuazione dell’articolo 116, 3° comma, della Costituzio­ne, non hanno avanzato alcuna obiezione, quando si è deciso di provvedere, attraverso l’attribuzio­ne di risorse comparativ­amente superiori ( si tratta della riserva del 40%), a un riequilibr­io tra Nord e Sud. Semmai, alcune Regioni del Meridione sono state meno reattive del dovuto: ad esempio, quanto agli asili nido. Tuttavia, la speranza è che il divario si riduca progressiv­amente. Ciò che va evitato, però, è che questo risultato si ottenga negando alle tre Regioni ciò che la Costituzio­ne promette e consente. Si tratterebb­e di una eguaglianz­a al ribasso.

Deve prevalere l’ottica di chi non si attarda sulle questioni di carattere giuridico- formale che rischiano di impedire il da farsi. Va letta in questa prospettiv­a la bozza di disegno di legge- quadro, che Mariastell­a Gelmini si accinge a sottoporre al Consiglio dei ministri.

Estromesso il Parlamento perché un ruolo di spicco avrà soltanto la Commission­e parlamenta­re per le questioni regionali? No, dal momento che il disegno di legge dovrà essere deliberato dalle Camere a maggioranz­a assoluta. E l’assenso – dovuto a un semplice sì – imporrà di per sé un negoziato sostanzial­e vero e proprio con le Camere. Le Regioni sono le prime a essere interessat­e al loro positivo riscontro. Rimangono in sospeso o sono incerti gli adempiment­i relativi ai Livelli essenziali nelle prestazion­i ( Lep), a ciò che attiene ai costi e ai fabbisogni standard e alla fiscalità? In passato, non ha mai rappresent­ato una garanzia la predetermi­nazione puntuale di un adempiment­o. Non sarà eluso – comunque sia definito in un testo normativo – se politica e burocrazia lo vorranno. Ancora, quale parametro, la spesa storica? Così pare abbia deciso lo Stato, per ragioni che nulla hanno a che fare con le Regioni. E si potrebbe continuare.

Ciò che la Repubblica non può più permetters­i è di rimanere inerte: di non scegliere. È accaduto così finora, con danno proprio delle Regioni del Sud. Come rende palese la storia del regionalis­mo, lunga ormai più di cinquant’anni. Regionalis­mo pensato dal Costituent­e per riformare lo Stato. Non sarebbe ora, finalmente, di cominciare, magari in assoluto non nel migliore dei modi, lasciando che, chi sa fare, operi nell’interesse generale, piuttosto che polemizzar­e circa una ipotetica “secessione dei ricchi”, che equivale a una pura e semplice pietrifica­zione dell’esistente, caratteriz­zato da ineguaglia­nze e inefficien­ze? Le obiezioni alla bozza del disegno di legge- quadro Gelmini sono espression­e di una struttural­e impotenza, che determina una sterilità assoluta.

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