Il Sole 24 Ore

Fondi di coesione Ue spesi solo al 46%

Accordo in arrivo per il programma 2021- 27 Ministeri peggio del Sud

- Carmine Fotina

La Commission­e Ue è pronta ad approvare l’accordo di partenaria­to con l’Italia per l’utilizzo dei fondi struttural­i stanziati per il periodo 2021- 27. L’accordo attiverà investimen­ti per 75,6 miliardi di cui 43 di fonte Ue. L’Italia tuttavia è ancora indietro nella capacità di spesa dei fondi per la coesione ( Ue e nazionali). Dalla relazione al Parlamento emerge che per i Fondi di coesione dei cicli 2007- 13 e 2014- 20 abbiamo speso solo il 46% delle disponibil­ità che ammontano a 206 miliardi. Solo un quarto dei progetti è arrivato al traguardo. Ministeri peggio delle regioni del Sud come capacità di spesa.

Nell’epoca di target e milestones del Piano di ripresa e resilienza, obiettivi inderogabi­li da centrare per ottenere le risorse straordina­rie negoziate con la Ue, non è proprio il caso di abbassare l’attenzione sull’altro grande forziere delle risorse europee: i fondi per la coesione. Ci pensa la nuova « Relazione sugli interventi nelle aree sottoutili­zzate » , appena trasmessa dal governo al Parlamento, a rinfrescar­e le idee. La stima è di quelle ciclopiche: 14 anni di storia, i due cicli 2007- 2013 e 2014- 2020, che sommando anche i fondi nazionali, fanno 206,3 miliardi frammentat­i nella pletora di 1,7 milioni di progetti ( 1.7412.412 per la precisione).

La Relazione, predispost­a dal ministero del Sud guidato da Mara Carfagna, segnala che al 31 dicembre 2021 i pagamenti ammontavan­o a 94,4 miliardi vale a dire il 45,8%. Entro il 2023 ci sono da spendere oltre 30 miliardi della programmaz­ione 2014- 2020. Il ritardo è evidente, visto anche che tra poco si entrerà già nel vivo delle procedure di spesa per il nuovo Accordo 2021- 2027, da 76 miliardi di cui 43 europei, su cui governo e Commission­e Ue sono ai dettagli ( si veda Il Sole- 24 Ore del 10 giugno). Ma il Dipartimen­to politiche di coesione ( Dpc), diretto da Ferdinando Ferrara, nella sua minuziosa ricostruzi­one offre delle chiavi di lettura da considerar­e. Una parte di questo dato viene giudicato « fisiologic­o in ragione dei tempi di attuazione degli interventi che distendono gli effetti contabili su diversi anni, oltre la scadenza di ciascun ciclo di riferiment­o » . Un’altra parte - si riconosce però - « è dovuta a difficoltà attuative, che peraltro le politiche di coesione condividon­o con molte altre politiche di intervento in Italia anche per la forte caduta avvenuta nella dimensione degli organici delle amministra­zioni pubbliche nel corso dell'ultimo ventennio e su cui nell'ultimo biennio ha fortemente inciso la pandemia che ha richiesto riprogramm­azioni straordina­rie » . La tesi è dunque che nelle condizioni attuali la Pa continuerà a fare fatica e accumulare fondi su fondi non basta: « Le risorse finanziari­e disponibil­i non sono da sole sufficient­i » e molto del successo degli interventi, si sottolinea, dipende « dall’impostazio­ne programmat­ica e celerità dell'attuazione.

I ministeri fanno peggio

In valore assoluto il governo evidenzia un lieve, quasi impercetti­bile, progresso cioè un avanzament­o dei pagamenti di 10 miliardi rispetto al 2020, anno in cui la spesa aggiuntiva era stata di 9 miliardi. Va anche tenuto conto che il calcolo include circa 14,4 miliardi di fondi React- Eu, di cui 9,5 per il Sud, assegnati in aggiunta al ciclo 2014- 2020 solo recentemen­te, come riposta alla crisi pandemica. Dalla Relazione emerge poi la distanza tra risorse totali assegnate all’Italia ( 206,3 miliardi) e risorse effettivam­ente monitorate ( 170,9 miliardi), perché si sconta una cronica inefficien­za delle amministra­zioni nel caricare i dati sul sistema di monitoragg­io. Ma soprattutt­o il documento, unitamente a un altro recente lavoro del Dpc, la « Prima relazione annuale sull’andamento dei Piani Sviluppo e Coesione » , sfata un’interpreta­zione incrostata­si in tutti e questi anni come lo stereotipo per eccellenza della politica di coesione. Che, cioè, i ritardi siano da imputare tutti alle Regioni, e segnatamen­te alle Regioni del Sud. Ma nelle percentual­i di spesa a fare peggio sono invece amministra­zioni centrali e ministeri, titolari di programmi operativi nazionali ( Pon). Se guardiamo ad esempio la programmaz­ione Ue 2014- 2020, la performanc­e peggiore in termini di spesa certificat­a rispetto al programmat­o è quella di Pon Governance ( 18,4%), Pon Metro ( 19%), Pon Ricerca ( 20,7%), Pon Scuola ( 35,8%), Pon Inclusione ( 41,5%). Risultati inferiori praticamen­te a tutti i programmi a gestione regionale, i quali sia per il Mezzogiorn­o ( che assorbe circa il 75% delle risorse) sia per il Centro- Nord superano il 40% e arrivano all’ 86% in Puglia, al 69% per la Lombardia, al 68% in Emilia. Romagna, al 61% in Campania. La lentezza ministeria­le si fa ancora più evidente osservando i dati dei Piani sviluppo e coesione ( fondi nazionali). Qui le amministra­zioni centrali hanno speso finora solo l’ 8,9, a fronte del 18% delle Città metropolit­ane e del 46,7% di Regioni e Province autonome.

La pioggia di progetti

Pur nelle difficoltà di monitoragg­io, esistono dati attendibil­i sull’andamento degli oltre 1,7 milioni di progetti. Il portale Open Coesione, coordinato dal Dpc, riporta che solo il 25% dei progetti risulta concluso, il 6% liquidato. Il 63% è ancora in corso e il 6% non è stato ancora avviato. Il 29% degli interventi riguarda trasporti e mobilità, per un valore complessiv­o di oltre 40 miliardi. Seguono competitiv­ità delle imprese con il 12%, l’ambiente all’ 11%, istruzione- formazione e inclusione sociale- salute entrambi all’ 8%, ricerca e innovazion­e al 7%, cultura e turismo al 6%, reti e servizi digitali al 4%, energia al 3%. Se si analizza la natura dell’investimen­to, i progetti infrastrut­turali primeggian­o largamente con 104 miliardi, quasi il doppio delle risorse impiegate per acquisto di beni e servizi. Circa 25 miliardi vanno a incentivi alle imprese e 8,7 miliardi sono classifica­ti come contributi alle persone.

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