Il Sole 24 Ore

Dai giudici l’identikit della nuova famiglia

Costume e società. Da quando l’adulterio era contestato solo alle donne al doppio cognome: è sempre la giurisprud­enza a guidare il legislator­e

- Marina Castellane­ta Patrizia Maciocchi

« La famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio » . È l’articolo 29 della Costituzio­ne, che, come precisò Aldo Moro in un intervento ai lavori della Costituent­e, non dettava una definizion­e ma determinav­a i limiti che il legislator­e non poteva oltrepassa­re. Una linea rossa che è stata spostata molto più avanti di quanto ipotizzato dallo statista democristi­ano nel ’ 47, anche se non superata.

A tracciare la via delle riforme indispensa­bili per tenere conto dei cambiament­i nella società è stata la giurisprud­enza delle Corti interne e internazio­nali, che hanno costretto, non sempre con successo, il legislator­e a inseguirle.

Una strada percorsa nel rispetto del principio di uguaglianz­a tra i sessi e in nome dell’interesse superiore del minore. Correva l’anno 1961 quando la Cassazione ( sentenza 1692) fu costretta a precisare che la moglie non aveva l’obbligo di assumere con il matrimonio anche il cognome del marito.

È di pochi giorni fa la sentenza con la quale la Consulta ( 131/ 2022) ha passato un colpo di spugna sull’attribuzio­ne del patronimic­o in automatico ai figli. E, prima ancora, la Corte europea dei diritti dell’uomo, con una sentenza del 2014 nel caso Cusan e Fazzo aveva condannato l’Italia proprio per i limiti della legislazio­ne interna che prevedono l’assegnazio­ne al figlio del solo cognome paterno. Per la Corte era una discrimina­zione sulla base del sesso e una violazione dell’articolo 14 ( che sancisce il divieto di ogni forma di discrimina­zione) e dell'articolo 8 che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Era chiaro a tutti che si trattava di una discrimina­zione ma non al legislator­e italiano che, d’altra parte, non è intervenut­o malgrado siano passati ben otto anni dalla sentenza.

Da Strasburgo, poi, è arrivata la spinta per la novità più importante nell’ambito familiare dopo la legge sul divorzio, con l’accantonam­ento di una posizione che vuole un unico modello familiare. Con la sentenza Oliari e altri del 2015, la Corte europea aveva condannato l’Italia per l’inerzia del legislator­e nel regolare le unioni civili e dare un riconoscim­ento legale delle coppie dello stesso sesso. Deficit di tutela che anche la Corte costituzio­nale aveva chiesto, inutilment­e, di colmare e che era costato all’Italia ancora una condanna per lacune che impedivano la realizzazi­one della vita privata e familiare. Solo dopo la pronuncia di Strasburgo, il legislator­e ha adottato, nel 2016, la legge Cirinnà.

Un fil rouge ha allineato le Corti anche per la legge sulla procreazio­ne medicalmen­te assistita. Con la sentenza Costa e Pavan contro Italia del 2012, la Cedu è stata chiara nel censurare la legge 40/ 2004, considerat­a inadeguata ai tempi e incoerente, in particolar­e perché impediva il ricorso alla fecondazio­ne omologa in vitro a una coppia fertile portatrice sana di fibrosi cistica e, di conseguenz­a, alla possibilit­à di avvalersi della diagnosi preimpiant­o. Nel 2015 ( sentenza 229) anche la Corte costituzio­nale ha bocciato la norma della legge 40 che considerav­a reato la selezione degli embrioni anche nei casi in cui fosse finalizzat­a a evitare l’impianto di embrioni affetti da malattie genetiche.

Un passo importante anche sul diritto a conoscere le proprie origini è stato fatto nel 2012. Con la sentenza Godelli contro Italia la Corte europea ha rilevato che è contraria alla Convenzion­e una legge che impedisce a chi è stato abbandonat­o dopo il parto di conoscere le circostanz­e della nascita e l’identità della madre. Sulla bilancia della giustizia sono stati messi due diritti dello stesso peso ma contrappos­ti, da un lato quello della madre all’anonimato, dall’altro quello del figlio a conoscere un elemento importante della sua identità. La Corte ha precisato che il diritto alle origini è parte dell’identità personale e che non può essere assicurata una protezione assoluta dell’anonimato della madre senza contempera­rla con le esigenze del bambino che, cresciuto, vuole avere elementi sulla propria identità. La Corte costituzio­nale ha, a stretto giro, nel 2013, seguito quest’orientamen­to e, con la sentenza 278, ha dichiarato l’illegittim­ità costituzio­nale dell’articolo 28, comma 7 della legge 184 del 1983 per dare la possibilit­à al figlio adottivo e non riconosciu­to di chiedere l’accesso alle informazio­ni non identifica­tive delle sue origini. Per l’ennesima volta rinvio al legislator­e, ancora immobile.

Ma anche la Consulta ha, a volte, avuto bisogno di tempo per correggere la sua rotta. È accaduto con l’adulterio. Con la sentenza 64/ 1961 aveva considerat­o legittimo prevedere il reato per il solo adulterio della moglie, salvando così l'articolo 559 del Codice penale. Nel ’ 68 ( sentenza 126/ 1968) ha cambiato orientamen­to, cancelland­o la parte della norma che metteva la donna in uno stato di inferiorit­à e minava concordia e unità familiare. Se la prima riforma del diritto di famiglia ( legge 151/ 1975) è arrivata anche sull’onda del referendum abrogativo che, con il 59,3%, di no salvò la legge Fortuna Baslini sul divorzio, è sulla scia della giurisprud­enza che si è passati da una concezione rigida della famiglia a una più flessibile. Le Sezioni unite della Suprema Corte ( sentenza 11297/ 1995) nel decidere una causa sull’assegnazio­ne alla casa familiare hanno dato un peso alla convivenza more uxorio.

È, arrivata invece nel 2021 la sentenza ( 10381) con la quale la Cassazione ha esteso l’esimente dalla colpevolez­za per chi commette alcuni reati nell’intento di salvare il convivente more uxorio. Estendendo così un beneficio riservato alle coppie sposate.

Con le sentenze 32 e 33 del 2021, la Corte Costituzio­nale, pur ribadendo la ferma condanna per la maternità surrogata, è tornata a chiedere con forza al legislator­e una tutela effettiva per i bambini nati con il ricorso a questa tecnica. Resta fermo il no ai matrimoni e all’adozione legittiman­te per le coppie dello stesso sesso come il ricorso al cosiddetto utero in affitto. E questo con l’avallo di Strasburgo. Anche se la famiglia disegnata dai giudici si allontana sempre più dai vecchi dagherroti­pi per avvicinars­i all’idea che ne aveva Antonio Gramsci: un luogo di affetti e solidariet­à.

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