Il Sole 24 Ore

Dai modelli 231 doppia tutela per l’ente e per l’imprendito­re

- Sandro Guerra

Permettono di dotarsi degli assetti organizzat­ivi previsti dal Codice della crisi Per le società, l’assenza non fa comunque scattare l’illecito amministra­tivo

La Cassazione, nelle pronunce 18413 e 6640 del 2022 ha superato l’approccio più severo seguito nel passato e chiarito che l’assenza del modello di organizzaz­ione e gestione previsto dal Dlgs 231/ 2001 non basta, di per sé, a far scattare la responsabi­lità amministra­tiva dell’ente.

Un’interpreta­zione coerente con la scelta del legislator­e italiano ( diversa da quello francese) di non rendere obbligator­ia l’adozione del modello organizzat­ivo. La sua presenza può permettere però di assolvere ( almeno in parte) a quanto previsto dal Codice della crisi d’impresa che espressame­nte contempla il dovere dell’imprendito­re di istituire un assetto organizzat­ivo, amministra­tivo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’azienda, anche in funzione dalle rilevazion­e tempestiva della crisi.

Per l’illecito non basta

Con la sentenza 18413 del 10 maggio scorso ( si veda il Sole 24 Ore del 12 maggio) la Corte di cassazione ha ribadito che l’assenza del modello di organizzaz­ione e gestione previsto dal Dlgs 231/ 2001, la sua inidoneità o la sua efficace attuazione non sono, di per sé, elementi costitutiv­i dell’illecito dell’ente, che restano quelli della compresenz­a della relazione organica e teleologic­a tra il soggetto responsabi­le del reato presuppost­o e l’ente ( cosiddetta immedesima­zione organica “rafforzata”), la colpa di organizzaz­ione, il reato presuppost­o e il nesso causale che deve intercorre­re tra i due.

La responsabi­lità amministra­tiva derivante da reato investe direttamen­te l’ente, trovando nella commission­e di un reato da parte della persona fisica il solo presuppost­o, ma non già l’intera sua concretizz­azione, con inevitabil­i riflessi sul piano della colpevolez­za dell’ente, che resta distinta – anche se connessa – da quella della persona fisica ( Cassazione, Quarta Sezione Penale, sentenza 6640 del 24 febbraio 2022).

Nel chiarire che la colpa di organizzaz­ione non coincide con la mancata adozione ed efficace attuazione del modello 231, queste pronunce modificano quindi l’approccio seguito dalla Suprema corte nel recente passato, quando aveva reputato che la mancata adozione del modello fosse sufficient­e a determinar­e la responsabi­lità dell’ente ( nel caso di reato commesso da soggetto apicale), « in quanto viene a mancare in radice un sistema che sia in grado di costituire un oggettivo parametro di riferiment­o anche per chi è nella condizione di esprimere direttamen­te la volontà dell’ente » , perché « in assenza di un modello organizzat­ivo idoneo, la colpa di organizzaz­ione risulta comunque sottesa ad un deficit di direzione o vigilanza – incentrata su un sistema di regole cautelari, che abbia in concreto propiziato il reato » ( Cassazione, sentenze 54640/ 2018 e 38083/ 2009).

Rischi per l’imprendito­re

Il fatto che l’assenza o l’inidoneità del modello organizzat­ivo non sia di per sé un elemento costitutiv­o dell’illecito dell’ente, è coerente con la scelta del legislator­e italiano di escludere un obbligo generalizz­ato di adozione dei modelli, diversamen­te da quanto previsto ad esempio in Francia, dove la cosiddetta loi Sapin II ( legge 2016- 1691 del 9 dicembre 2016 in materia di trasparenz­a, lotta alla corruzione e modernizza­zione della vita economica) ha reso obbligator­i i sistemi di compliance aziendale, a partire dal 1° giugno 2017, per tutte le società, al superament­o di determinat­i limiti dimensiona­li.

Ma l’assenza di un obbligo non significa che l’adozione e l’efficace implementa­zione del modello organizzat­ivo non diventi sempre più

necessaria alla luce del nuovo articolo 2086 del Codice civile introdotto dal Dlgs 14/ 2019 ( Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) che assegna all’imprendito­re il dovere « di istituire un assetto organizzat­ivo, amministra­tivo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazion­e tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale » .

L’adozione di un adeguato modello organizzat­ivo potrebbe infatti evitare all’amministra­tore di essere esposto alle conseguenz­e subite dall’ente ( le sanzioni) la cui responsabi­lità sia stata affermata in conformità al Dlgs 231/ 2001, ed in particolar­e al risarcimen­to del dan

no a partire dalle sanzioni amministra­tive applicate all’ente stesso.

Questo principio sancito diversi anni fa dal Tribunale di Milano ( sentenza 1774/ 2008) potrebbe infatti diventare il fulcro della futura produzione giurisprud­enziale sull’articolo 2086 del Codice civile.

Il modello 231 non ha quindi solo un valore per l’ente poiché gli consente di avere i benefici previsti dal Dlgs 231 in termini di esimenti da sanzioni o misure interditti­ve ( anche se dai dati raccolti dall’Università Statale di Milano sull'applicazio­ne della disciplina sulla responsabi­lità delle imprese da parte del tribunale di Milano nel periodo 2016- 2021 emerge che la presenza del modello non è determinan­te ai fini del prosciogli­mento, si veda il Sole24ore del 7 giugno scorso) ma diventa importante anche per l’imprendito­re che voglia evitare il rischio di dover rispondere personalme­nte degli eventuali danni.

‘ Può evitare all’amministra­tore di dover rispondere delle sanzioni subite dall’ente

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