Bond sotto pressione, rendimenti in crescita: il BTp torna oltre il 4%
Titoli di Stato. Il decennale italiano torna al 4,11%, ai livelli di fine 2013 Si allargano gli spread periferici: differenziale con il Bund a quota 248 punti
Quattro per cento. Gli amanti delle cifre tonde ne hanno da ieri una in più da valutare per il rendimento del BTp decennale. Il titolo di Stato italiano più rappresentativo è infatti salito su livelli che non si vedevano da fine 2013 per spingersi fino al 4,11% e tagliare così un traguardo in sé poco è ambito, ma che soprattutto rischia di non essere quello finale.
La svolta « aggressiva » imposta alla politica monetaria dalla Bce la scorsa settimana e ancora di più la mancanza di indicazioni concrete riguardo allo strumento anti- frammentazione stanno segnando l’andamento dei bond sovrani europei e in particolare di quelli dei Paesi periferici, Italia e non solo. L’impressione è che il mercato stia ormai apertamente sfidando l’Eurotower sulla reale volontà di interventire su un simile campo e che gli spread si stiano muovendo di conseguenza.
Oltre al differenziale di rendimento italiano nei confronti della Germania, balzato ieri a 248 punti base, nelle ultime settimane si sono allargati anche quello spagnolo ( 136), portoghese ( 137) e quello greco che ha raggiunto quota 278. Un movimento questo che, unito al rialzo di base del Bund ( ormai all’ 1,63%), il Tesoro sta già pagando caro. Nei primi cinque mesi dell’anno ha infatti emesso titoli a un tasso medio già 7 volte superiore ai minimi storici del 2021 ( 0,71% contro 0,10%) ed è chiamato oggi a un nuovo test con un’asta di BTp a 3, 7 e 30 anni per un massimo di 6 miliardi di euro.
Nell’inevitabile confronto con lo scorso decennio e con l’ultima apparizione del rendimento italiano al 4% spicca anzitutto una situazione di mercato diametralmente opposta. Nel dicembre 2013 la Bce non aveva ancora attivato il piano di riacquisti che si conclude ufficialmente a fine giugno e che almeno fino a poco fa aveva spinto ai minimi storici i rendimenti dell’intera Eurozona. La sola « promessa » del whatever it takes pronunciata da Mario Draghi un anno e mezzo prima aveva già di per sé contribuito a ridurre lo spread BTpBund, che viaggiava attorno a 200.
Ma se l’inerzia dei listini è adesso tutta in salita, il quadro dei fondamentali, e non solo quello, rende in genere gli analisti molto meno preoccupati. « In questi anni gli Stati hanno allungato le scadenze medie dei loro titoli per ridurre l’impatto di eventuali rialzi dei tassi e anche nel caso dell’Italia, la traiettoria di rientro del debito pubblico può essere messa in discussione più dall’andamento economico che dallo spread » , riconosce Matteo Ramenghi, capo degli investimenti di Ubs Wm in Italia, facendo notare come lo scorso anno l’indebitamento sia sceso grazie alla forte crescita nominale del Pil: « Uno scenario che potrebbe ripetersi anche nel 2022 » .
Un secondo tassello rilevante riguarda la stessa Europa che ci circonda, dove la situazione è radicalmente cambiata rispetto al decennio scorso. « Il Recovery fund comporta l’emissione di quasi 800 miliardi di debito direttamente dalla Ue e dà maggior credibilità alla costruzione europea » , aggiunge Ramenghi, giudicando anche significativo il fatto che tra i cittadini sia cresciuta la percentuale favorevole all’euro ( In Italia è al 72% rispetto al 54% del 2014).
Anche la composizione dello stesso debito italiano è un argomento da non sottovalutare. La Bce detiene infatti circa un terzo dello stock, che al netto di questa quota è pari a circa il 110% del Pil, mentre è diminuita la partecipazione degli investitori esteri. Due indicazioni sufficienti ad Algebris per dire che nel complesso « i dati tecnici dei BTp sono migliori rispetto al 2011 e al 2018 » e che, nonostante un’accelerazione della volatilità sui nostri titoli sia da mettere in conto, « i meccanismi di difesa contro il rischio sistemico europeo sono probabilmente più elevati rispetto alle crisi passate, rendendo il rischio di coda finale minore » .
Resta quindi da vedere se e quanto un eventuale investimento sui nostri titoli di Stato sia da prendere in seria considerazione in un simile contesto. Al di là delle turbolenze del momento Luca Riboldi, responsabile investimenti di Banor Sim, fa notare come l’inversione di marcia delle banche centrali e la conseguente riduzione della liquidità in circolazione abbia in generale contribuito a far aumentare i rendimenti reali, corretti cioè per tener conto dell’inflazione. « Se consideriamo che l’indice medio dei prezzi al consumo italiano è atteso nei prossimi 10 anni al 2,21% - spiega Riboldi - quei 180 punti base di differenza sono un tasso reale molto interessante per investire » . Sullo sfondo restano certo i temi legati al pericolo teorico di frammentazione e alla capacità del Governo italiano ( e dell’Europa) di gestire il tema del debito in modo che il rischio resti contenuto, ma la base d’interesse per ripartire è innegabile.
Il quadro dei fondamentali economici spaventa tuttavia meno adesso rispetto a nove anni fa