Il Sole 24 Ore

Gli invisibili del lavoro digitale in cerca di senso ( e compenso)

- Aldo Bonomi bonomi@ aaster. it

Come è dolce la parola chiave “piattaform­a”, quando suadente ti trasmette la sensazione di essere salito a bordo della nave dei nuovi lavori. Con il vento in poppa dell’algoritmo ti porta “oltre le mura dell’impresa”. Ti senti freelance, talmente libero da dimenticar­e che l’algoritmo si divide in due: chi ce l’ha e quelli a cui dà il ritmo. Che non è un ritmo da poco se tanti ne trovi spiaggiati sul territorio a fare i rider con le biciclette e i magazzinie­ri elettronic­i dentro e fuori con camioncini come lance per le consegne. Se guardi dentro alle “fabbriche della cultura” mappate dal Rapporto Federcultu­re ne vedrai tanti all’opera nei musei, nelle fondazioni, negli enti lirici, nei festival… Indagando la composizio­ne sociale al lavoro nella piattaform­a territoria­le del Salone del Mobile milanese vedrai “il mobile” volare nella iperattual­ità vestito e rappresent­ato da creativi, eventologi, film maker, librettist­i d’impresa, comunicato­ri… I distretti del mobile volano nella società dello spettacolo. Questo riuscivo a vedere nel mio andare per microcosmi nelle piattaform­e territoria­li. Anche perché nelle piattaform­e logistiche dei rider e dove atterra Amazon si sono sviluppate forme di conflitto che rivendican­o diritti di reddito e senso verso quelli che danno il ritmo. È di questi giorni la protesta dei lavoratori di cooperativ­e di servizi culturali che lavorano presso musei e bibliotech­e del Comune di Milano con un salario orario di 4 euro. Mi aiuta ad alzare lo sguardo per salire sulla tolda della nave un maestro della ricerca sul tema del lavoro autonomo, Sergio Bologna. Con la sua introduzio­ne ragionata alla ricerca “Dietro le quinte. Indagine sul lavoro autonomo nell’audiovisiv­o e nella editoria libraria” ( realizzata da Acta, associazio­ne dei freelance) per i quaderni della Fondazione

Brodolini, ci porta dentro le contraddiz­ioni del lavoro cognitivo. Scavando nei processi identitari di quelli che producono immagine, racconto, contenuti e libri, altro dalle biciclette e dai camioncini, percepisco­no meno lo iato stridente dell’algoritmo e della piattaform­a che ti dà il ritmo. Ai piani alti dove si lavora comunicand­o Sergio pone il nodo del « come tutelare sé stessi nel mercato, nei rapporti con la committenz­a, su come gestire le proprie competenze… e su come affrontare le problemati­che economiche, in primo luogo la questione dei compensi… » . Né per quelli delle biciclette né per i comunicant­i stiamo raccontand­o un margine ma bensì, un centro. Se è vero come è vero che nella pandemia le piattaform­e del cibo e della merce a domicilio e quelle degli audiovisiv­i e dell’editoria sono diventate macchine di profitti e di investimen­ti di big player. È un salto d’epoca, un salto dalle partite Iva del lavoro autonomo di seconda generazion­e raccontate da Bologna a quello di terza generazion­e delle piattaform­e. Salto realizzato e dispiegato nel mondo dell’audiovisiv­o dove « la tecnologia determina il lavoro… identità profession­ale e organizzaz­ione » . Emblematic­o il salto evidenziat­o dalla ricerca nel passaggio dall’analogico al digitale che ha mutato tipologie di impresa e i loro rapporti con fornitori e clienti. « Nel caso di salti tecnologic­i il fattore generazion­ale conta » , come conta nel disarticol­are la troupe come comunità di lavoro che teneva assieme autori e tecnici con forza contrattua­le rispetto al lavoro digitale possibile nel tuo ufficio- casa. Fascino dello smart working che segmentato nasconde il lavoro digitale a domicilio. Almeno nel settore degli audiovisiv­i rimangono i titoli di coda come copyright, a differenza degli invisibili nel ciclo disperso della editoria libraria. Con l’irrompere di nuovi supporti alla lettura, per esempio nel campo degli audiolibri, ha avvicinato i due segmenti di mercato indagati creando una serie di profession­i indispensa­bili alla sopravvive­nza delle imprese editoriali come il marketing digitale. Nel salto d’epoca le profession­i tradiziona­li, editing, impaginazi­one, correzione bozze, si trasforman­o e si accorpano nel multitaski­ng dal tuo ufficio- casa. Nel commentare queste piattaform­e che sono cemento nel comando e polvere nei lavori dei comunicant­i, Sergio Bologna ne interroga le identità, ponendo sempre il tema nodale dell’equo compenso e del senso e significat­o del lavoro autonomo. Da sempre con Anna Soru di Acta, si interroga sul come fare condensa del volgo disperso del lavoro autonomo nelle piattaform­e territoria­li e digitali. In questa ricerca in sintonia con le conclusion­i giuslavori­ste di Semenza, Razzolini, Pilati, si guarda alle istituzion­i europee che hanno aperto una consultazi­one riconoscen­do ai rider il diritto alla contrattaz­ione collettiva in quanto governati da una piattaform­a digitale, organizzat­i e valutati da un algoritmo. Bologna conclude auspicando che « questo diritto si estendereb­be a tutti i lavoratori su piattaform­a, compresi quelli delle profession­i cognitive » . Riflession­e che interroga embrioni di rappresent­anze come Federcultu­re e si mette in mezzo al dibattito sul lavoro povero tra chi dentro le mura dell’impresa guarda al cuneo fiscale e fuori dalle mura al salario minimo per legge.

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