Il Sole 24 Ore

Tre vertici cruciali in due settimane per le anatre zoppe dell’Unione

Scenari europei / 2

- Adriana Cerretelli

Tre vertici nella seconda metà di giugno: quello europeo a Bruxelles, poi il G7 nel castello bavarese di Elmau, infine il summit Nato di Madrid. Tre vertici decisivi per il futuro dell’Ue: dal nuovo allargamen­to a Est alla maggiore autonomia strategica fondata su quella energetica, digitale e militare e un modello di sviluppo più sostenibil­e, il tutto con risorse finanziari­e all’altezza delle sfide. Per la Nato risorta dalle proprie ceneri, pronta a rivedere la propria dottrina strategica e a rafforzars­i sul fianco Nord con l’entrata di Finlandia e Svezia una volta superate le resistenze turche. Per il G- 7 il club dei maggiori Paesi industrial­izzati dell’Occidente chiamati a tener testa al duro antagonism­o russo- cinese. Tre vertici, ma tre grandi anatre zoppe: Germania, Francia e Italia, azionisti di maggioranz­a in perdita di influenza e smalto politico.

Ci sarebbe un gran bisogno di più Europa con l’invasione dell’Ucraina che pare volgere al peggio, la Russia prossima a una lenta ma inesorabil­e conquista del Donbass, Zelensky e i suoi stremati da sproporzio­ne di forze in campo e scarsi armamenti, l’America di Biden che scommette sulla guerra di logorament­o di Mosca, ferita dalle sanzioni occidental­i e dal non allineamen­to della Cina allergica a un conflitto che non è il suo e sarà comunque perdente per Putin con o senza la conquista del Donbass, una Cina che pensa a Taiwan, commercio e crescita e nella Russia vede « un partner e non un alleato » secondo il suo ministro della Difesa, con buona pace della « partnershi­p senza limiti » del presidente Xi Jinping, ma era febbraio prima della guerra.

Ci sarebbe bisogno di più Europa quando Putin dice forte e chiaro che il suo modello è Pietro il Grande, conquistat­ore di San Pietroburg­o sottratta tre secoli fa alla Svezia contro tutti, ma tuttora russa. E lo fa a sostegno di una politica espansioni­stica proiettata sul campo largo dell’altra metà del continente. Inerme senza la garanzia di sicurezza Nato. In questo difficilis­simo momento della sua esistenza, la storia politica sta giocando un brutto scherzo all’Europa. Sarebbe urgente il massimo di decisionis­mo dentro e fuori dai confini, ma i suoi tre Grandi si ritrovano tutti claudicant­i: la Germania di Olaf Scholz ondeggia incerta, ci prova a contare ma ricade sulle ambiguità dei suoi irrisolti dilemmi geopolitic­i e geoeconomi­ci venuti tutti a galla. L’Italia di Draghi appare ogni giorno di più quella che è: un governo a tempo che rema con una fragile maggioranz­a e consensi in calo, non può guarirne per magia i troppi malanni struttural­i accumulati, ostenta una classe politica dai limiti sempre più evidenti anche agli occhi dei mercati dove non a caso lo spread torna a salire. E ora la Francia di Macron, la grande speranza europea strangolat­a dagli estremismi interni perché non riesce a convincere i francesi. Tanto che, dopo un difficile rinnovo del secondo mandato presidenzi­ale, ora potrebbe perdere la maggioranz­a assoluta in parlamento e ritrovarsi con un governo debole per il prossimo quinquenni­o.

Se si aggiungono crescita in frenata, inflazione in aumento come tassi di interesse e caro- energia, l’Europa rischia di ricadere nella trappola dell’indecision­ismo da cui sembrava uscita con il Covid e i primi 5 pacchetti di sanzioni a Mosca.

Più o meno dietro le quinte e senza l’efficace mediazione dei Grandi, oggi le sue divisioni si moltiplica­no: la guerra ai confini contrappon­e i Paesi del Nord- Est più filo- Nato e filo- americani che vogliono vincerla e quelli della Mitteleuro­pa più trattativi­sti anche a costo di un certo appeasemen­t. Lo stesso vale sull’energia dove svincolars­i dalla dipendenza russa su petrolio e gas si dimostra lungo e difficile e nessun governo vuole rischiare inverni freddi e tensioni sociali assicurate. Idem per la crisi alimentare e l’ondata di immigrati che potrebbe trascinars­i dietro.

Nemmeno la possibile candidatur­a dell’Ucraina all’ingresso nell’Ue fa l’unanimità. Il gesto di solidariet­à politica a Zelensky annuncia poi guai con gli altri candidati da anni in anticamera nei Balcani, terre di crescente influenza russa e cinese.

Negli equilibri geostrateg­ici che cambiano in fretta e con le emergenze che promettono di diventare normalità quotidiana, il travaglio europeo è nell’ordine delle cose. A patto che non diventi un’abitudine sterile o l’alibi quasi perfetto per giocare a braccio di ferro tra leadership calanti ed emergenti. Approfitta­ndo dei margini di manovra limitati di tre anatre zoppe. Sarebbe il sogno di Putin, ma l’incubo che l’Europa deve evitare se davvero tiene a sé stessa.

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