Tre vertici cruciali in due settimane per le anatre zoppe dell’Unione
Scenari europei / 2
Tre vertici nella seconda metà di giugno: quello europeo a Bruxelles, poi il G7 nel castello bavarese di Elmau, infine il summit Nato di Madrid. Tre vertici decisivi per il futuro dell’Ue: dal nuovo allargamento a Est alla maggiore autonomia strategica fondata su quella energetica, digitale e militare e un modello di sviluppo più sostenibile, il tutto con risorse finanziarie all’altezza delle sfide. Per la Nato risorta dalle proprie ceneri, pronta a rivedere la propria dottrina strategica e a rafforzarsi sul fianco Nord con l’entrata di Finlandia e Svezia una volta superate le resistenze turche. Per il G- 7 il club dei maggiori Paesi industrializzati dell’Occidente chiamati a tener testa al duro antagonismo russo- cinese. Tre vertici, ma tre grandi anatre zoppe: Germania, Francia e Italia, azionisti di maggioranza in perdita di influenza e smalto politico.
Ci sarebbe un gran bisogno di più Europa con l’invasione dell’Ucraina che pare volgere al peggio, la Russia prossima a una lenta ma inesorabile conquista del Donbass, Zelensky e i suoi stremati da sproporzione di forze in campo e scarsi armamenti, l’America di Biden che scommette sulla guerra di logoramento di Mosca, ferita dalle sanzioni occidentali e dal non allineamento della Cina allergica a un conflitto che non è il suo e sarà comunque perdente per Putin con o senza la conquista del Donbass, una Cina che pensa a Taiwan, commercio e crescita e nella Russia vede « un partner e non un alleato » secondo il suo ministro della Difesa, con buona pace della « partnership senza limiti » del presidente Xi Jinping, ma era febbraio prima della guerra.
Ci sarebbe bisogno di più Europa quando Putin dice forte e chiaro che il suo modello è Pietro il Grande, conquistatore di San Pietroburgo sottratta tre secoli fa alla Svezia contro tutti, ma tuttora russa. E lo fa a sostegno di una politica espansionistica proiettata sul campo largo dell’altra metà del continente. Inerme senza la garanzia di sicurezza Nato. In questo difficilissimo momento della sua esistenza, la storia politica sta giocando un brutto scherzo all’Europa. Sarebbe urgente il massimo di decisionismo dentro e fuori dai confini, ma i suoi tre Grandi si ritrovano tutti claudicanti: la Germania di Olaf Scholz ondeggia incerta, ci prova a contare ma ricade sulle ambiguità dei suoi irrisolti dilemmi geopolitici e geoeconomici venuti tutti a galla. L’Italia di Draghi appare ogni giorno di più quella che è: un governo a tempo che rema con una fragile maggioranza e consensi in calo, non può guarirne per magia i troppi malanni strutturali accumulati, ostenta una classe politica dai limiti sempre più evidenti anche agli occhi dei mercati dove non a caso lo spread torna a salire. E ora la Francia di Macron, la grande speranza europea strangolata dagli estremismi interni perché non riesce a convincere i francesi. Tanto che, dopo un difficile rinnovo del secondo mandato presidenziale, ora potrebbe perdere la maggioranza assoluta in parlamento e ritrovarsi con un governo debole per il prossimo quinquennio.
Se si aggiungono crescita in frenata, inflazione in aumento come tassi di interesse e caro- energia, l’Europa rischia di ricadere nella trappola dell’indecisionismo da cui sembrava uscita con il Covid e i primi 5 pacchetti di sanzioni a Mosca.
Più o meno dietro le quinte e senza l’efficace mediazione dei Grandi, oggi le sue divisioni si moltiplicano: la guerra ai confini contrappone i Paesi del Nord- Est più filo- Nato e filo- americani che vogliono vincerla e quelli della Mitteleuropa più trattativisti anche a costo di un certo appeasement. Lo stesso vale sull’energia dove svincolarsi dalla dipendenza russa su petrolio e gas si dimostra lungo e difficile e nessun governo vuole rischiare inverni freddi e tensioni sociali assicurate. Idem per la crisi alimentare e l’ondata di immigrati che potrebbe trascinarsi dietro.
Nemmeno la possibile candidatura dell’Ucraina all’ingresso nell’Ue fa l’unanimità. Il gesto di solidarietà politica a Zelensky annuncia poi guai con gli altri candidati da anni in anticamera nei Balcani, terre di crescente influenza russa e cinese.
Negli equilibri geostrategici che cambiano in fretta e con le emergenze che promettono di diventare normalità quotidiana, il travaglio europeo è nell’ordine delle cose. A patto che non diventi un’abitudine sterile o l’alibi quasi perfetto per giocare a braccio di ferro tra leadership calanti ed emergenti. Approfittando dei margini di manovra limitati di tre anatre zoppe. Sarebbe il sogno di Putin, ma l’incubo che l’Europa deve evitare se davvero tiene a sé stessa.