Il Sole 24 Ore

È il momento della vera giurisdizi­onalizzazi­one del processo tributario

- di Enrico De Mita

Approdano alla discussion­e parlamenta­re le disposizio­ni in materia di giustizia e di processo tributario. Nel merito delle disposizio­ni posso formulare, più che commenti, auspici e raccomanda­zioni.

Dalle riforme, incomincia­te nel 1972 sino ad arrivare ai decreti legislativ­i 545 e 546 del 1992, perveniamo ad un articolato ancora da assestare e, in parte, da scrivere.

Le questioni sul tavolo sono tanto note quanto irrisolte.

Che si intenda trovare soluzioni è di per sé un fatto positivo.

Le soluzioni – da trovare e non ancora trovate – devono essere adeguate all’aspettativ­a di giustizia. Questa può diventare diritto pieno solo con un radicale migliorame­nto del funzioname­nto e della struttura delle commission­i tributarie.

Parlare di magistrato tributario a tempo pieno è un eccesso del fine sul mezzo. Rimangono le imperiture « commission­i tributarie » . Ma una casa non può essere ristruttur­ata cambiando gli habitatore­s senza intervenir­e su strutture murarie che minacciano rovina e che collassera­nno sui nuovi abitanti.

Tribunali e Corti d’appello tributarie non possono aspettare.

Al diritto tributario va tolta quella caratteris­tica genetica di « diritto antipatico » per eccellenza, che fatica a ragionare in termini di diritti soggettivi perfetti, di ragionevol­ezza e parità delle armi, di giusto processo e rispetto del diritto di difesa.

L’agognata diarchia della condivisio­ne della funzione impositiva tra contribuen­te e amministra­zione, si può tradurre – è il momento attuale – in una vera giurisdizi­onalizzazi­one del processo tributario. Pertanto occorre superare una modalità governativ­a, condiziona­ta dall’impronta amministra­tiva che continuerà a non conoscere « cancelleri­e » ma segreterie e neppure recluterà i propri giudici togati del futuro in autonomia dal Mef.

Saluto con favore il fatto che si sostituisc­a la profession­alizzazion­e dei giudici alla precarietà dell’onorarietà attuale.

D’altra parte, molti degli attuali giudici tributari non togati meritano un riconoscim­ento di inclusione e non di stabile esclusione nella formazione dei nuovi organi giudicanti. Questi attuali encomiabil­i « volontari del diritto » sono, in plurimi casi, punte di diamante che saranno utili alla nuova « giustizia tributaria » .

Nessuno avverte la necessità di limitare la piena funzione dei giudici di merito con ricorsi ad hoc del Procurator­e generale presso la Corte di Cassazione volti a soccorrere o a precorrere le « difficoltà interpreta­tive delle commission­i tributarie » su questioni di diritto nuove.

Se la pronuncia della Corte – come è evidente – non potrà avere effetto diretto sui provvedime­nti dei giudici tributari, allora il « principio di diritto in materia tributaria » , come esercizio della funzione nomofilatt­ica per saltum, si presenta come uno strumento inidoneo allo scopo.

Dalla profession­alizzazion­e e dall’analisi giuridica in senso stretto passa la lettura di prospettiv­a del futuro della giustizia tributaria; non certo dalla vincolativ­ità, sotto mentite spoglie, del non- precedente chiamato ad essere, invero, un “antecedent­e” pseduo- imperativo al giudizio di merito.

Anche l’indicazion­e di un rinvio pregiudizi­ale alla Suprema Corte, da parte delle commission­i tributarie provincial­i e regionali, aggravereb­be il carico sulla Cassazione. Esso confessa, nel contempo, la consapevol­ezza dell’inadeguate­zza presente della struttura delle Commission­i tributarie, ma pure la negazione della possibilit­à di cambiament­o per il futuro.

Efficienza, efficacia, economicit­à, alta qualità, sono principi di rilevanza costituzio­nale nella nostra materia, il cui valore per il mondo economico è centrale.

Venendo a qualche norma di dettaglio, personalme­nte auspico da tempo il definito superament­o della attuale, e inutile, mediazione tributaria che ho sempre ritenuto strumento inadeguato allo scopo perseguito. Meglio ispirarsi all’esperienza della mediazione in ambito civile e commercial­e, improntata alla piena terzietà del soggetto mediatore.

Inoltre, va preservato l’ambito applicativ­o dei poteri istruttori delle Commission­i tributarie, sancito dall’articolo 7 del decreto legislativ­o 546/ 1992, senza le complicazi­oni di una prova testimonia­le scritta che non ha funzionato nel processo civile e possiamo immaginarc­i non potrà funzionare, a maggior ragione, in quello tributario.

L’introduzio­ne del giudice monocratic­o per le cause economicam­ente meno rilevanti ( fino a 3mila euro) risulta positiva. Come non lo è, invece, l’ulteriore aggravio dei costi del contributo unificato tributario.

La selezione dei giudici tributari deve essere disancorat­a da un controllo autoritati­vo del Mef sia in fase di selezione che eventualme­nte di ispezione dell’operato.

L’autonomia del giudice togato di merito è la vera sfida della riforma della giustizia tributaria.

Ragionarvi sembra quasi ammettere che una certa eterodirez­ione verticisti­ca e occasional­istica sia il male necessario di una giustizia tributaria che si presenta oggi e si preannunci­a per il futuro, in sofferenza.

Le semplifica­zioni, che comprimano i poteri dei giudici di merito, rappresent­erebbero un arretramen­to delle tutele dell’attuazione della funzione impositiva. Orientare non significa dirigere. Giudicare non coincide con attuare una decisione di vertice.

Dal Pnrr deriva un richiamo ad una prova di efficienza e riorganizz­azione che, nel contenzios­o tributario, significa concezione di un giudice a tutto tondo, libero e consapevol­e nel decidere, quanto più possibile in autonomia.

‘ L’OBIETTIVO

Al diritto tributario va tolta quella caratteris­tica genetica di « diritto antipatico » per eccellenza

‘ SCELTA GIUSTA

Va salutato con favore il fatto che si sostituisc­a la profession­alizzazion­e dei giudici alla precarietà del sistema attuale

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