È il momento della vera giurisdizionalizzazione del processo tributario
Approdano alla discussione parlamentare le disposizioni in materia di giustizia e di processo tributario. Nel merito delle disposizioni posso formulare, più che commenti, auspici e raccomandazioni.
Dalle riforme, incominciate nel 1972 sino ad arrivare ai decreti legislativi 545 e 546 del 1992, perveniamo ad un articolato ancora da assestare e, in parte, da scrivere.
Le questioni sul tavolo sono tanto note quanto irrisolte.
Che si intenda trovare soluzioni è di per sé un fatto positivo.
Le soluzioni – da trovare e non ancora trovate – devono essere adeguate all’aspettativa di giustizia. Questa può diventare diritto pieno solo con un radicale miglioramento del funzionamento e della struttura delle commissioni tributarie.
Parlare di magistrato tributario a tempo pieno è un eccesso del fine sul mezzo. Rimangono le imperiture « commissioni tributarie » . Ma una casa non può essere ristrutturata cambiando gli habitatores senza intervenire su strutture murarie che minacciano rovina e che collasseranno sui nuovi abitanti.
Tribunali e Corti d’appello tributarie non possono aspettare.
Al diritto tributario va tolta quella caratteristica genetica di « diritto antipatico » per eccellenza, che fatica a ragionare in termini di diritti soggettivi perfetti, di ragionevolezza e parità delle armi, di giusto processo e rispetto del diritto di difesa.
L’agognata diarchia della condivisione della funzione impositiva tra contribuente e amministrazione, si può tradurre – è il momento attuale – in una vera giurisdizionalizzazione del processo tributario. Pertanto occorre superare una modalità governativa, condizionata dall’impronta amministrativa che continuerà a non conoscere « cancellerie » ma segreterie e neppure recluterà i propri giudici togati del futuro in autonomia dal Mef.
Saluto con favore il fatto che si sostituisca la professionalizzazione dei giudici alla precarietà dell’onorarietà attuale.
D’altra parte, molti degli attuali giudici tributari non togati meritano un riconoscimento di inclusione e non di stabile esclusione nella formazione dei nuovi organi giudicanti. Questi attuali encomiabili « volontari del diritto » sono, in plurimi casi, punte di diamante che saranno utili alla nuova « giustizia tributaria » .
Nessuno avverte la necessità di limitare la piena funzione dei giudici di merito con ricorsi ad hoc del Procuratore generale presso la Corte di Cassazione volti a soccorrere o a precorrere le « difficoltà interpretative delle commissioni tributarie » su questioni di diritto nuove.
Se la pronuncia della Corte – come è evidente – non potrà avere effetto diretto sui provvedimenti dei giudici tributari, allora il « principio di diritto in materia tributaria » , come esercizio della funzione nomofilattica per saltum, si presenta come uno strumento inidoneo allo scopo.
Dalla professionalizzazione e dall’analisi giuridica in senso stretto passa la lettura di prospettiva del futuro della giustizia tributaria; non certo dalla vincolatività, sotto mentite spoglie, del non- precedente chiamato ad essere, invero, un “antecedente” pseduo- imperativo al giudizio di merito.
Anche l’indicazione di un rinvio pregiudiziale alla Suprema Corte, da parte delle commissioni tributarie provinciali e regionali, aggraverebbe il carico sulla Cassazione. Esso confessa, nel contempo, la consapevolezza dell’inadeguatezza presente della struttura delle Commissioni tributarie, ma pure la negazione della possibilità di cambiamento per il futuro.
Efficienza, efficacia, economicità, alta qualità, sono principi di rilevanza costituzionale nella nostra materia, il cui valore per il mondo economico è centrale.
Venendo a qualche norma di dettaglio, personalmente auspico da tempo il definito superamento della attuale, e inutile, mediazione tributaria che ho sempre ritenuto strumento inadeguato allo scopo perseguito. Meglio ispirarsi all’esperienza della mediazione in ambito civile e commerciale, improntata alla piena terzietà del soggetto mediatore.
Inoltre, va preservato l’ambito applicativo dei poteri istruttori delle Commissioni tributarie, sancito dall’articolo 7 del decreto legislativo 546/ 1992, senza le complicazioni di una prova testimoniale scritta che non ha funzionato nel processo civile e possiamo immaginarci non potrà funzionare, a maggior ragione, in quello tributario.
L’introduzione del giudice monocratico per le cause economicamente meno rilevanti ( fino a 3mila euro) risulta positiva. Come non lo è, invece, l’ulteriore aggravio dei costi del contributo unificato tributario.
La selezione dei giudici tributari deve essere disancorata da un controllo autoritativo del Mef sia in fase di selezione che eventualmente di ispezione dell’operato.
L’autonomia del giudice togato di merito è la vera sfida della riforma della giustizia tributaria.
Ragionarvi sembra quasi ammettere che una certa eterodirezione verticistica e occasionalistica sia il male necessario di una giustizia tributaria che si presenta oggi e si preannuncia per il futuro, in sofferenza.
Le semplificazioni, che comprimano i poteri dei giudici di merito, rappresenterebbero un arretramento delle tutele dell’attuazione della funzione impositiva. Orientare non significa dirigere. Giudicare non coincide con attuare una decisione di vertice.
Dal Pnrr deriva un richiamo ad una prova di efficienza e riorganizzazione che, nel contenzioso tributario, significa concezione di un giudice a tutto tondo, libero e consapevole nel decidere, quanto più possibile in autonomia.
‘ L’OBIETTIVO
Al diritto tributario va tolta quella caratteristica genetica di « diritto antipatico » per eccellenza
‘ SCELTA GIUSTA
Va salutato con favore il fatto che si sostituisca la professionalizzazione dei giudici alla precarietà del sistema attuale