Private equity, era del capitale permanente in arrivo
Siamo veramente agli albori di una nuova era per il private equity? Il fondo californiano Sequoia ha recentemente affermato l’intenzione di rompere gli schemi optando per la creazione di un singolo veicolo di permanent capital, dichiarando ormai superati i tradizionali fondi chiusi e definendo anche il periodo di investimento di 10 anni obsoleto e insufficiente per una completa e corretta implementazione delle strategie industriali e di sviluppo e, conseguentemente, l’ottimizzazione dei ritorni per gli investitori. E Sequoia non è l’unico grande operatore a muoversi in questa direzione.
In effetti, i segni di questa tendenza si erano già visti anche nel nostro Paese, dove si sono diffuse nuove strutture di investimento più flessibili, tra cui i club deals o gli interventi diretti da parte di holding di investimento, family offices ( anche consorziati tra loro) o fondi sovrani. Credo infatti ci siano pochi dubbi nell’affermare che la flessibilità nell’ambito delle decisioni di investimento ( o disinvestimento) in funzione delle specifiche caratteristiche dell’operazione effettuata e/ o della situazione di mercato rappresenti un evidente vantaggio competitivo in una logica di massimizzazione del profitto. È tuttavia altrettanto evidente come questo approccio debba necessariamente essere adattato alle esigenze degli investitori, che chiedono di poter realizzare i propri ritorni in un tempo ragionevole e in qualche modo prevedibile.
È infatti proprio questo il principale problema da risolvere. Nel caso di strumenti di investimento quotati, questa tematica è parzialmente risolta in quanto la quotazione consente agli investitori di poter liquidare facilmente il loro investimento. Qui semmai un problema potrebbe essere quello del potenziale disallineamento tra il valore di borsa e l’effettivo valore del veicolo quotato e delle partecipate sottostanti. Problema invece assente negli strumenti di permanent capital non quotati, che però presentano una maggiore complessità di realizzazione. Anche in questo caso, tuttavia, esistono già operatori di successo che hanno affrontato tali tematiche a cui guardare per studiare il funzionamento e le caratteristiche degli strumenti utilizzati, per poi adattarli alla nostra realtà industriale, finanziaria e giuridica. Personalmente credo che i veicoli di permanent capital non sostituiranno quelli attualmente in uso, in primis i fondi chiusi, ancora oggi ampiamente dominanti, validi ed efficaci in moltissimi casi, ma che si aggiungeranno alla sempre più lunga lista degli strumenti.
Ma allora, in quali tipi di investimento gli strumenti di permanent capital potrebbero risultare più efficaci? Probabilmente nelle operazioni che per loro natura necessitano di tempistiche molto elevate, quali i processi di aggregazione di imprese finalizzati alla creazione di poli di eccellenza, gli investimenti infrastrutturali o nel settore del turismo, oppure nelle operazioni di venture capital di matrice molto innovativa. Non è infatti un caso che il fondo Sequoia abbia supportato con successo società come Google, Zoom, Airbnb, Instagram, WhatsApp, e molte altre. Investimenti che, conti alla mano, se non fossero stati vincolati alle limitazioni temporali imposte dalla struttura dei fondi sottostanti, avrebbero consentito ritorni ben più elevati. Da qui la presa di posizione molto netta e per molti versi “dirompente” da parte dei gestori.
I ritorni realizzati dai fondi a capitale permanente, inclusi quelli italiani, molto spesso possono essere, in termini assoluti, molto significativi se non addirittura più elevati rispetto ad altre tipologie di investimento. La possibilità di investire e disinvestire quando è economicamente più opportuno farlo, e al contempo, di poter capitalizzare al massimo sulle competenze verticali sviluppate rappresenta un elemento chiave che porta a ritorni più elevati e stabili nel tempo. Se a questo si aggiunge il vantaggio derivante dal fatto che gli operatori di permanent capital si possano proporre a imprenditori e/ o manager come partner stabili, duraturi e “senza una scadenza fissa”, è facile capire come l’accesso a operazioni difficilmente realizzabili con strumenti alternativi possa diventare più agevole. Possiamo quindi dire che, quantunque non ci si trovi di fronte a uno stravolgimento delle logiche tradizionali del private equity, è indubbiamente osservabile una significativa tendenza a una aumentata articolazione degli strumenti di investimento, che offrirà alle imprese e agli investitori una scelta di veicoli più ampia e adattabile alle loro specifiche situazioni, necessità e tempistiche. C’è da augurarsi che anche gli strumenti di permanent capital si diffondano presto nel nostro Paese e che venga dato loro sufficiente spazio per potersi sviluppare, limitando i vincoli che ne possano complicare la costituzione o che li pongano in svantaggio rispetto ad altri strumenti di investimento.