Conviene incoraggiare
Emerso da una recente fase di seria difficoltà interna, il governo kazako sta – tra la sorpresa generale – facendo fronte alla crisi in cui l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, sua tradizionale alleata e mentore, ha precipitato il mondo. Ciò però non stupisce se consideriamo la politica estera multivettoriale inaugurata trent’anni fa dal suo primo presidente, Nursultan Nazarbayev, e perfezionata dal suo successore designato, l’ex ministro degli Esteri Kassym- Zhomart Tokayev.
Al di là degli stretti legami politici, strategici ed economici con la Russia, il Kazakistan condivide con questa un confine lungo e indifendibile e comprensibilmente fa di tutto per evitare frizioni e scontri diretti, anche solo diplomatici, con Mosca. Malgrado ciò, il Paese ha stupito il mondo rifiutandosi di avallare l’invasione dell’Ucraina e offrendosi come mediatore neutrale per negoziare una pace, pur non riconoscendo le due repubbliche separatiste di
Luhansk e Donetsk nel Donbass ucraino come invece vorrebbe Mosca. Il Kazakistan si è pubblicamente appellato al Cremlino perché contempli una soluzione pacifica e negoziata al conflitto, sottolineando coraggiosamente i suoi stretti legami con entrambi i belligeranti. Nur- Sultan ( la capitale) si è astenuta nel voto cruciale di condanna dell’invasione all’Assemblea generale dell’Onu: non esattamente ciò che Vladimir Putin si aspettava. (...)
Man mano che le sanzioni occidentali alla Russia fanno sentire il loro morso, Putin ha mandato un chiaro messaggio ai vicini inseriti nell’Unione economica eurasiatica ( Uee) a guida russa: « Unitevi a noi senza riserve per aiutarci ad attenuare l’impatto dell’embargo occidentale, o nemmeno le vostre economie sopravvivranno » . Sta qui il fulcro della questione, in quanto l’attuale politica estera kazaka si sposa pienamente con l’interesse occidentale. Per dimostrare che Putin sbaglia in termini politici a imporre una scelta così netta ai suoi vicini e per trarre vantaggio dall’apertura che Nur- Sultan offre all’Occidente, l’America e i suoi alleati europei dovrebbero sostenere un Paese dalle molte possibilità, il quale ha dato recente e chiara prova della sua indipendenza strategica. Dalla risposta dell’Occidente discenderà la sua relazione con questo Stato ricco di risorse e con l’intera Asia centrale, regione strategica, per decenni a venire. (...) Il Kazakistan si appresta dunque a entrare nella seconda fase della sua storia indipendente e sarebbe opportuno che l’Occidente ne fosse parte.
Invece, le sanzioni proposte nel Regno Unito dalla sinistra laburista e da alcuni centri studi non tengono in alcun conto questa realtà, rischiando di danneggiare l’interesse occidentale non meno di quello kazako. Queste sanzioni, infatti, spingerebbero NurSultan nel fatale abbraccio del suo vicino settentrionale. Il governo kazako ha proposto in effetti di proseguire nelle riforme politiche: modernizzare il processo elettorale; rafforzare la tutela dei diritti umani, la stampa indipendente e la società civile; aumentare la separazione delle strutture statali da quelle di partito; decentrare maggiormente i poteri a vantaggio degli enti locali, per archiviare il sistema superpresidenziale. Il governo propone che mentre i leader dell’esecutivo centrale e delle grandi città restino di nomina governativa, i legislativi locali scelgano tra due figure presentate dal governo, iniziando così ad attenuare il centralismo del sistema. (...) Come i buoni realisti sanno, impiantare un governo democratico è processo lento e complesso che richiede tempo e pazienza. Dato il programma di riforme del governo e considerata la complessità della regione, il Kazakistan appare sulla lenta ma salda strada verso l’obiettivo, con ottime possibilità di raggiungerlo. Ironia della sorte, al momento il Paese sta facendo esattamente ciò che ogni investitore straniero sognava dato l’enorme potenziale economico e la vastissima disponibilità di carbone, uranio, cotone, rame: stabilizzare economia e società. Come l’esempio ucraino dimostra, Nur- Sultan resta inoltre determinata a mantenere la sua politica estera multivettoriale proprio quando l’Occidente ha grande bisogno di amici in Asia centrale dopo il caotico ritiro statunitense dall’Afghanistan.
Sull’enorme potenziale economico del Kazakistan non v’è alcun dubbio: ha le dodicesime riserve accertate di petrolio ( circa 30 miliardi di barili), dal
2001 la produzione petrolifera è in crescita e oggi si attesta a 1,8 milioni di barili al giorno, in aumento. Data l’urgenza per l’Europa di trovare nuovi fornitori sull’onda della guerra ucraina, il Kazakistan rappresenta una fonte vitale di greggio per un Occidente all’affannosa ricerca di una diversificazione energetica. Invece di ostracizzare o ignorare il Kazakistan in questa fase critica, per tutte queste ragioni a uno sguardo realista è nel completo interesse dell’Occidente investire diplomaticamente nel Paese, sostenendolo nella sua agenda di riforme. Sembrerebbe ovvio, ma purtroppo non lo è, che quando un alleato di vecchia data è spinto dalle circostanze a fare proprio ciò che l’Occidente auspica quest’ultimo debba incrementare il suo appoggio, non lesinarlo. Il Kazakistan è più unico che raro: una concreta opportunità strategica che aspetta di essere colta dall’Occidente.