Crisi occupazionale da Termini a Priolo
L’isola punta a monitorare le imprese estere per evitare la desertificazione industriale
In principio fu Termini Imerese con la sua area industriale in cerca di riconversione ormai da oltre dieci anni, da quando la Fiat scelse di chiudere lo stabilimento siciliano. Oggi da quelle parti vi sono qua si 600 operai ancora in cassa integrazione e la Regione ha varato un norma che stanzia 30 milioni per accompagnarne alla pensione una buona parte. Il declino di quell’area, l’abbandono di oltre 200mila metri quadrati di stabilimento, rappresentano un monito e un rischio da evitare oggi che le cose si fanno veramente molto complicate. E si fanno complicate, soprattutto in Sicilia, per tanti fattori. Ha tenuto banco, qualche mese fa, la scelta di Pfizer sullo stabilimento di Catania che fa capo alla controllata Wyeth lederle: alla fine è stato raggiunto un accordo sul destino degli esuberi ma la scelta del gruppo americano non è passata inosservata. Continua a tenere banco la vicenda che riguarda proprio l’area industriale di Priolo- Augusta- Melilli in provincia di Siracusa dove la presenza di multinazionali è veramente alta.
E tiene banco per il destino delle raffinerie Isab, società italiana rilevata dai russi di Lukoil qualche anno fa. Da oltre un anno è stata fatta da parte della Regione siciliana la richiesta di area di crisi complessa per consentire alle imprese di avviare progetti di trasformazione in linea con la transizione ecologica. Ma la guerra tra Russia e Ucraina, le sanzioni dell’Ue alla Russia e tutte le complicazioni che ne sono derivate mettono a rischio un sistema che vale complessivamente, secondo stime, almeno diecimila occupati. Ed ecco dunque le premesse per intervenire: per attrarre nuovi investimenti certo ma soprattutto per non perdere quello che già c’è.