Pandemia e guerra affossano le catene di fornitura globali
Commercio italo- germanica Decisivo per la manifattura rifornirsi vicino agli impianti produttivi
Presentata oggi l’indagine Kpmg per la Camera di
Un’azienda tedesca su quattro sta pensando di venire via dalla Cina e tre su quattro considerano chiusa l’epoca delle catene globali della fornitura. Il futuro della manifattura, insomma, è nel nearshoring, cioè in una rete di fornitori selezionati all’interno di un’area non troppo lontana dall’epicentro della produzione. Il dato arriva da un’indagine condotta da Kpmg per conto dell’Ahk, la Camera di commercio italo- germanica, che verrà presentata oggi a Milano nel corso della sedicesima edizione del Forum italo- tedesco.
Se la pandemia aveva provocato le prime crepe nel quadro della supply chain globale, la guerra in Ucraina sembra aver tirato una picconata decisiva al modello produttivo su cui è stata costruita la crescita dell’economia mondiale degli ultimi decenni. Prendiamo la logistica, per esempio: dal 2019 ad oggi, ricordano gli esperti di Kpmg, i costi dei trasporti transoceanici di un container sono aumentati del 700%, con i tempi di spedizione che sono cresciuti del 200% e con il blocco del porto di Shanghai e del Canale di Suez a complicare il quadro. Aumenti come questi, sommati all’escalation dei prezzi dell’energia e delle materie prime, rischiano di non essere più sostenibili.
C’è anche un altro tema, a spingere le imprese tedesche a rivedere la catena delle forniture in un ottica più vicina, ed è quello della tutela dell’ambiente. Non ci sono solo gli obiettivi dell’Agenda 2030, o le richieste dei consumatori più giovani, a spingere sull’acceleratore della sostenibilità: il numero dei distributori che hanno richiesto ai loro fornitori di essere green è aumentato del 24%, ricorda sempre l’indagine Kpmg- Ahk. In particolare, il 42% delle imprese intervistate ha dichiarato che la sostenibilità per loro è già uno dei requisiti chiave nella scelta dei partner da cui rifornirsi, il 23% punta ad aumentare la quota di approvvigionamento di energia da fonti rinnovabili e il 10% intende investire nell’economia circolare.
Se dunque le catene della fornitura rientrano sempre più in Europa, per le imprese italiane si potrebbero aprire interessanti opportunità di business. A patto di saperle cogliere: il nostro Paese, sostengono per esempio le imprese tedesche, soffre di una carenza di manodopera qualificata che va colmata, un problema comune anche alla Spagna e alla Francia, ma che in Italia assume connotati più marcati.
Un imprenditore tedesco su tre considera proprio la mancanza di manodopera il principale ostacolo allo sviluppo economico della propria azienda in Italia nel corso dei prossimi 12 mesi. Stando inoltre all’ultimo outlook che la Camera di commercio italo- germanica ha pubblicato a maggio sulle percezioni delle imprese tedesche, il 42% pensa che il quadro economico dell’Italia nel prossimo anno sia destinato a peggiorare.
Sulla via del nearshoring si frappongono però alcuni ostacoli. Uno, il più difficile da superare, è la mancanza delle materie prime. Dal litio alla gomma naturale, dal titanio al platino, l’Europa è deficitaria di molti minerali, per i quali dipende in larga parte dall’Asia, senza dimenticare la grande questione delle materie prime agricole. Per il 13% delle imprese tedesche intervistate, questa delle commodity è oggi la peggiore minaccia che pende sulla crescita economica.