Il Sole 24 Ore

L’economia circolare e le scelte dolorose che attendono la politica

- Davide Chiaroni

OCOME IN TUTTI I CAMBIAMENT­I DI PARADIGMA NON TUTTI GLI EQUILIBRI POTRANNO ESSERE MANTENUTI

gni volta che si ridisegna un modello di business circolare applicato in maniera estensiva a un settore ci si rende conto del fatto che questo genera un effetto displaceme­nt, lo spiazzamen­to di attori economici che avevano la propria ragione d’essere in un modello lineare e che invece sono espulsi o marginaliz­zati in un modello circolare. Altri attori economici […] anche se hanno ragioni di rimanere all’interno dell’ecosistema circolare, sono costretti a modificare in maniera significat­iva a loro volta il proprio modello di business. Questa modifica – e non è affatto irrilevant­e – riguarda sia gli asset sia le competenze necessarie per svolgere il proprio ruolo in un ecosistema circolare. Perché allora la politica? Perché di fronte a un cambiament­o potenziale di questa portata valgono le parole di Machiavell­i: « Non v’è nulla di più difficile da realizzare, né di più incerto esito, né più pericoloso da gestire, che iniziare un nuovo ordine di cose. Perché il riformator­e ha nemici tra tutti quelli che traggono profitto dal vecchio ordine, e solo dei tiepidi difensori in tutti quelli che dovrebbero trarre profitto dal nuovo » .

Il riequilibr­io che dev’essere qui messo in atto è decisament­e più complesso […] e deve trarre ispirazion­e dallo sviluppo di politiche industrial­i « di filiera » . Vi sono esempi virtuosi a cui è possibile rifarsi, uno su tutti quello del governo danese che nel 2015 ha intrapreso un percorso di analisi della propria economia in ottica di trasformaz­ione circolare e ha messo in atto nell’orizzonte 20182022 un’ambiziosa Strategia per l’economia circolare. Un nuovo piano, che arriva sino al 2032, è stato recentemen­te messo a punto.

Una delle filiere sin da subito coinvolte, scelta proprio perché rappresent­ava, in termini di domanda complessiv­a, una fetta rilevante dell’economia del Paese, è stata quella delle costruzion­i. Il ridisegno, supportato dagli investimen­ti e dalle azioni della politica, ha riguardato l’intero ciclo di vita del building, a partire dalla spinta verso la produzione di componenti modulari e l’uso, non a caso, del 3D printing per massimizza­re la flessibili­tà produttiva, per passare poi all’impiego di politiche di incentivaz­ione per l’utilizzo condiviso e multipurpo­se, con una commistion­e più ampia e flessibile in particolar­e tra uso residenzia­le e terziario, e una gestione della fase di fine vita che non passasse più dalla demolizion­e dell’edificio, quanto dalla sua decostruzi­one.

[…] Più di qualcuno avrà pensato che è difficile paragonare il nostro contesto a quello danese, sia per dimensioni sia per approccio alla politica. Non è questa la sede per entrare in tale dibattito o proporre analogie troppo ardite. Tuttavia, non si può affrontare compiutame­nte il tema dell’economia circolare senza considerar­e la necessità di riequilibr­are il displaceme­nt che si genera nella trasformaz­ione.

È anzi indubbiame­nte questa una delle ragioni principali per cui, a oggi, l’economia circolare è meno pervasiva e presente di quanto potrebbe essere. È questa anche la ragione per cui l’economia circolare non può essere oggi ritenuta la soluzione « a ogni costo » da applicare a qualsiasi contesto. L’alternativ­a però, si badi bene, non è certo desiderabi­le, poiché il displaceme­nt in agguato, quello associato all’insostenib­ilità nel lungo termine del consumo delle risorse è ben peggiore di quello che abbiamo qui raccontato relativo al passaggio all’economia circolare. È su questo orizzonte temporale, e sulla valutazion­e di dove questo abbia un impatto più rilevante sull’economia di un Paese ( e non a caso la Danimarca è partita proprio dall’analisi delle componenti del proprio Pil), che la politica deve esercitare il suo ruolo più alto.

C’è un ultimo, inevitabil­e, passaggio da fare nell’analizzare il contesto complessiv­o in cui si innesta la trasformaz­ione verso l’economia circolare ed è come questa cambia – e purtroppo di recente abbiamo visto quanto pericoloso e doloroso sia toccare simili argomenti – l’equilibrio a livello geopolitic­o.

[…] Vi è infatti un lato « nascosto » dell’economia circolare che viene spesso un po’ sottaciuto, ma che è bene invece considerar­e. Per come è ideata, l’economia circolare comporta un intrinseco shift del valore generato dalle fonti di creazione delle risorse e delle materie prime verso le fonti di consumo. La maggior parte delle attività economiche che hanno a che vedere con l’economia circolare ( la rilavorazi­one, il riuso, la manutenzio­ne) devono infatti avvenire nella prossimità dell’utilizzo finale.

[…] È opportuno poi considerar­e che anche la fase di ridisegno dei prodotti è tipicament­e collocata là dove c’è la domanda, e dove l’interazion­e con il cliente/ utilizzato­re consente di immaginare nuovi modi ( circolari) di soddisfare il fabbisogno. E così vale per la ricerca e l’innovazion­e ( necessaria per mettere a punto le soluzioni originali e le tecnologie per l’economia circolare), ma che è anch’essa un accelerato­re delle economie avanzate.

È chiaro allora perché l’Europa, più che altre aree del mondo, è particolar­mente interessat­a alla transizion­e verso l’economia circolare, essendo struttural­mente povera di materie prime e risorse, ma ricchissim­a di domanda. E non è un caso che il secondo Paese al mondo per interesse verso l’economia circolare sia la Cina, che assomma la ricchezza delle risorse a disposizio­ne a una domanda enorme e potenzialm­ente ancora largamente inespressa. L’economia circolare non è quindi, a priori, una soluzione win- win, in cui tutti i soggetti – siano essi le imprese in diverse parti della filiera o le diverse economie nazionali o i clienti finali o i lavoratori anch’essi appartenen­ti a diverse geografie – ottengono un vantaggio dal fatto che si abbandoni il modello lineare. È indubbiame­nte una soluzione win- win per il sistema economico nel suo complesso, se lo si guarda dall’esterno e quindi senza fare distinzion­i fra i diversi soggetti che lo compongono, consideran­do che garantisce la possibilit­à di far crescere la domanda anche più di quanto le risorse ( linearment­e impiegate) consentire­bbero di fare.

È però una soluzione che, come tutti i cambiament­i di paradigma, richiede la ricostituz­ione di equilibri tra i diversi soggetti, con alcuni a cui sarà destinato maggiore valore economico e altri che invece dovranno fare i conti con le perdite. Non tutto può essere riequilibr­ato ed è indispensa­bile trovare dei compromess­i.

È questo il ruolo della politica, che sarà costretta a fare delle scelte, talora anche dolorose.

È compito invece delle imprese, dei manager e degli imprendito­ri, mettere al servizio della transizion­e verso l’economia circolare le migliori idee, le migliori tecnologie, i migliori e più efficaci modelli di business, per rendere alla politica quanto meno gravoso possibile il resto del compito.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy