Il taglio del cuneo fiscale resta la strada maestra per alzare le retribuzioni
Il dibattito sul salario minimo
Raggiunto l’accordo politico tra Parlamento e Stati membri dell’Unione sui contenuti generali della proposta di direttiva in materia di salario minimo, è esploso il dibattito entro i confini nazionali sull’introduzione di un salario minimo legale, già al vaglio del Parlamento. In realtà, è bene chiarire come l’Europa non ci stia affatto chiedendo l’introduzione di un salario minimo legale e nemmeno ci obblighi a farlo. Solo ai 21 Paesi in cui il salario minimo legale è già previsto l’Europa impone l’adozione di un action plan che chiarisca i criteri utilizzati per fissare e aggiornare il salario minimo legale, indicando – quale via maestra al fine di garantire salari minimi congrui – la contrattazione collettiva. Ed è proprio quest’ultima che la direttiva mira a incentivare laddove copra meno dell’ 80% della popolazione lavorativa. Non è questo il caso dell’Italia, uno dei Paesi più virtuosi relativamente alla copertura della contrattazione collettiva, ove l’obiettivo dell’ 80% risulta già largamente raggiunto e superato. Non a caso, è la stessa
Commissione europea a sottolineare come i Paesi caratterizzati da un’elevata copertura della contrattazione collettiva – quali, principalmente, Italia e Danimarca – tendano ad avere una percentuale inferiore di lavoratori a basso salario e salari minimi più elevati rispetto al salario mediano. Insomma, nulla da reclamare all’Italia la quale, anzi, viene elogiata dall’Europa quale modello virtuoso ed esempio da seguire.
Ma vi è di più. Anche volendo prescindere dal contenuto della direttiva – la quale, ripetesi, nulla impone all’Italia in materia di salario minimo legale – i fautori di quest’ultimo ne sostengono un asserito effetto benefico in grado di contrastare la contrattazione pirata. Ma i contratti “pirata” sono veramente così diffusi in Italia? I dati parlano chiaro. Sono mille i contratti collettivi nazionali di lavoro depositati al Cnel di cui solo 419 quelli utilizzati e di cui 162 quelli sottoscritti dalle grandi confederazioni Cgil, Cisl e Uil. Tuttavia, a ben vedere, il problema non è così grave: i 162 contratti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali aderenti a Cgil, Cisl e Uil coprono più di 12 milioni di lavoratori dipendenti, ovvero il 97% del totale dei rapporti di lavoro dichiarati. In altre parole, i contratti “pirata” si applicano oggi solo al 3% dei lavoratori dipendenti. Insomma, i bassi salari non sono un effetto della contrattazione “pirata”.
Appare, quindi, lecito chiedersi se la soluzione al problema dei bassi salari debba essere ricercata nell’introduzione di un salario minimo legale. Innanzitutto, basti qui rilevare che la fissazione di un salario minimo legale particolarmente elevato potrebbe confliggere con la capacità di pagamento delle imprese, determinando una fuga verso il lavoro nero. Ma non solo. L’introduzione di un salario minimo legale finirebbe per paralizzare ancora di più le imprese e la loro capacità di investimenti. Tra l’altro, molti contratti collettivi nazionali – soprattutto nel settore industria - a oggi già prevedono salari superiori ai 9 euro all’ora paventati dalle proposte al vaglio del Parlamento. Ciò potrebbe incentivare le imprese a uscire dal sistema della contrattazione collettiva nazionale e ad adottare contratti aziendali con soglie salariali inferiori.
Non c’è dubbio che i salari in Italia non siano per tutti così elevati, ma l’introduzione di un salario minimo legale potrebbe portare più danni che benefici. Forse il taglio del cuneo fiscale o, addirittura, una vera e propria riforma fiscale in grado di ridurre la pressione sui redditi di lavoro a scapito di altre componenti del reddito potrebbe realmente dare una svolta alla curva dei salari in Italia.