Il Sole 24 Ore

Il taglio del cuneo fiscale resta la strada maestra per alzare le retribuzio­ni

Il dibattito sul salario minimo

- Gabriele Fava

Raggiunto l’accordo politico tra Parlamento e Stati membri dell’Unione sui contenuti generali della proposta di direttiva in materia di salario minimo, è esploso il dibattito entro i confini nazionali sull’introduzio­ne di un salario minimo legale, già al vaglio del Parlamento. In realtà, è bene chiarire come l’Europa non ci stia affatto chiedendo l’introduzio­ne di un salario minimo legale e nemmeno ci obblighi a farlo. Solo ai 21 Paesi in cui il salario minimo legale è già previsto l’Europa impone l’adozione di un action plan che chiarisca i criteri utilizzati per fissare e aggiornare il salario minimo legale, indicando – quale via maestra al fine di garantire salari minimi congrui – la contrattaz­ione collettiva. Ed è proprio quest’ultima che la direttiva mira a incentivar­e laddove copra meno dell’ 80% della popolazion­e lavorativa. Non è questo il caso dell’Italia, uno dei Paesi più virtuosi relativame­nte alla copertura della contrattaz­ione collettiva, ove l’obiettivo dell’ 80% risulta già largamente raggiunto e superato. Non a caso, è la stessa

Commission­e europea a sottolinea­re come i Paesi caratteriz­zati da un’elevata copertura della contrattaz­ione collettiva – quali, principalm­ente, Italia e Danimarca – tendano ad avere una percentual­e inferiore di lavoratori a basso salario e salari minimi più elevati rispetto al salario mediano. Insomma, nulla da reclamare all’Italia la quale, anzi, viene elogiata dall’Europa quale modello virtuoso ed esempio da seguire.

Ma vi è di più. Anche volendo prescinder­e dal contenuto della direttiva – la quale, ripetesi, nulla impone all’Italia in materia di salario minimo legale – i fautori di quest’ultimo ne sostengono un asserito effetto benefico in grado di contrastar­e la contrattaz­ione pirata. Ma i contratti “pirata” sono veramente così diffusi in Italia? I dati parlano chiaro. Sono mille i contratti collettivi nazionali di lavoro depositati al Cnel di cui solo 419 quelli utilizzati e di cui 162 quelli sottoscrit­ti dalle grandi confederaz­ioni Cgil, Cisl e Uil. Tuttavia, a ben vedere, il problema non è così grave: i 162 contratti sottoscrit­ti dalle organizzaz­ioni sindacali aderenti a Cgil, Cisl e Uil coprono più di 12 milioni di lavoratori dipendenti, ovvero il 97% del totale dei rapporti di lavoro dichiarati. In altre parole, i contratti “pirata” si applicano oggi solo al 3% dei lavoratori dipendenti. Insomma, i bassi salari non sono un effetto della contrattaz­ione “pirata”.

Appare, quindi, lecito chiedersi se la soluzione al problema dei bassi salari debba essere ricercata nell’introduzio­ne di un salario minimo legale. Innanzitut­to, basti qui rilevare che la fissazione di un salario minimo legale particolar­mente elevato potrebbe confligger­e con la capacità di pagamento delle imprese, determinan­do una fuga verso il lavoro nero. Ma non solo. L’introduzio­ne di un salario minimo legale finirebbe per paralizzar­e ancora di più le imprese e la loro capacità di investimen­ti. Tra l’altro, molti contratti collettivi nazionali – soprattutt­o nel settore industria - a oggi già prevedono salari superiori ai 9 euro all’ora paventati dalle proposte al vaglio del Parlamento. Ciò potrebbe incentivar­e le imprese a uscire dal sistema della contrattaz­ione collettiva nazionale e ad adottare contratti aziendali con soglie salariali inferiori.

Non c’è dubbio che i salari in Italia non siano per tutti così elevati, ma l’introduzio­ne di un salario minimo legale potrebbe portare più danni che benefici. Forse il taglio del cuneo fiscale o, addirittur­a, una vera e propria riforma fiscale in grado di ridurre la pressione sui redditi di lavoro a scapito di altre componenti del reddito potrebbe realmente dare una svolta alla curva dei salari in Italia.

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