Perché le banche centrali saranno decisive nella svolta del Fintech
Servizi finanziari
LIL VERO PROGRESSO VA RICERCATO NELLA CAPACITà DI APPLICARE NUOVE TECNOLOGIE AGLI ATTUALI SISTEMI DI PAGAMENTO
a digitalizzazione dei servizi finanziari sta procedendo rapidamente, come sempre accade nelle fasi di innovazione tumultuosa e ovviamente si aprono vuoti regolamentari. Mai come in questa occasione, l’ordinamento finanziario è stato preso in contropiede: cosa è un bitcoin? Cosa è uno stablecoin? Quali regole sulle piattaforme di negoziazione o sulla consulenza finanziaria si devono applicare? Chi ha competenza su cosa, in un mondo che esiste solo su Internet?
Il fenomeno ha raggiunto dimensioni che richiedono interventi tempestivi: le attività che circolano all’interno della finanza decentralizzata ( Defi) sono aumentate di 180 volte, raggiungendo 109 miliardi di dollari. Il valore complessivo delle cryptocurrency è aumentato di quasi dieci volte da gennaio 2020 a novembre 2021, raggiungendo 3.800 miliardi di dollari, per poi precipitare a meno di 1.000 negli ultimi giorni. L’interesse in Italia per il Fintech è altissimo. Secondo l’indagine svolta dalla Banca d’Italia nel 2021, il 27% delle iniziative innovative e il 44% degli investimenti complessivi effettuati dagli intermediari hanno riguardato quest’area. L’esperienza di questi anni ha messo in luce molti punti critici delle nuove tecnologie, ma anche delle vecchie. Il primo, fondamentale, è che il sistema attuale dei pagamenti imperniato sulla moneta legale emessa dalle banche centrali e su quella ( fiduciaria) delle banche ha zone di inefficienza ( soprattutto nei pagamenti internazionali al dettaglio) e per di più non ha trasferito agli utenti almeno una parte degli indubbi vantaggi portati dalle nuove tecnologie. È quindi naturale che altri operatori cerchino di ritagliarsi una fetta della catena del valore e facciano leva sulla loro capacità di aggirare il monopolio delle banche, comprese quelle centrali, che resiste da qualche secolo.
Non solo. In tutti i Paesi, soprattutto in quelli emergenti, si pone un problema di inclusione finanziaria: sono molti gli adulti che non sono titolari di un deposito bancario e che quindi sono costretti ad altri strumenti che, come ha dimostrato la banca dei regolamenti internazionali, agiscono come un’imposta regressiva. Ma tutti hanno uno smartphone per accedere ai nuovi sistemi.
Ben venga dunque l’innovazione, purché ovviamente porti benefici per tutti. Perché molti sono i limiti mostrati dai nuovi strumenti e dalle nuove tecniche: è ormai chiaro che né i bitcoin né gli stablecoin possono svolgere le funzioni della moneta con la stessa efficacia. Dopo il crollo del valore di Terra, sia la Bce che la Banca dei regolamenti internazionali hanno ribadito con forza che il mondo crypto è destinato essenzialmente a speculatori in cerca di guadagni elevati e in tempi brevi.
Sono quindi strumenti speculativi e devono essere offerti come tali, presentando in modo trasparente la rischiosità. Oggi sono invece più accessibili delle macchinette mangiasoldi.
Ma non è questo il principale tallone d’Achille delle nuove tecnologie. Un
sistema di pagamento ha tre caratteristiche:
1 Si articola su due fasi fondamentali: la compensazione ( in cui si calcola il credito o il debito dei vari operatori) e il regolamento ( in cui la transazione si perfeziona anche dal punto di vista giuridico).
2 Deve godere della fiducia dei partecipanti.
3 Come in tutte le reti, l’utilità collettiva aumenta all’aumentare del numero di utenti, ma ovviamente questo aumenta il potere monopolistico del gestore. Questo vale per le reti telefoniche, ma anche per i mercati finanziari, tant’è che oggi la concorrenza fra gestori o fra luoghi dello scambio è un principio acquisito. Nel caso dei pagamenti bancari invece finora non c’è stata praticamente concorrenza e questo è il punto su cui fanno leva i nuovi operatori: abbattere il monopolio degli operatori tradizionali facendo leva sulla maggior accessibilità.
I registri distribuiti si basano infatti su una struttura a blocchi, in cui i dati possono essere letti e modificati da più nodi della rete: ogni operatore può entrare nel sistema senza dover passare per il gestore. Comportano però un problema: il loro funzionamento si basa su procedure completamente diverse ( affascinanti perché misteriose) ma anche sull’intervento di altri operatori che generano la fiducia nel meccanismo, cioè il valore costruito nei secoli attorno a banche centrali e banche. Sono i cosiddetti validator, che certificano il buon fine dell’operazione ( a loro volta grazie a sofisticate tecnologie) e ovviamente richiedono una commissione, che deve essere sufficientemente elevata, tanto più che sono anonimi e quindi non hanno una reputazione da perdere. L’esperienza dimostra, come risulta da un recente paper della
Banca dei regolamenti internazionali, che quando il numero delle transazioni aumenta, i validator richiedono compensi unitari più elevati e quindi il costo delle transazioni cresce in modo esponenziale, incentivando gli utenti a far ricorso ad altre piattaforme e compromettendo quindi il raggiungimento delle economie tipiche della rete. Qualcuno ha parlato di “trilemma delle Dlt”: non si possono avere insieme decentramento, sicurezza e scalabilità. A una di queste tre cose si deve rinunciare. La conclusione è che il progresso va ricercato non solo nella nascita di strumenti alternativi a quelli tradizionali, ma soprattutto nella capacità di applicare nuove tecnologie e nuovi criteri di accesso agli attuali sistemi di pagamento. La moneta di banche centrali è ovviamente il primo esempio: giustamente si procede con i piedi di piombo perché si devono garantire standard di sicurezza sotto tutti i profili, ma la strada è ormai tracciata.
Anche nei sistemi di pagamento le banche centrali possono fare molto per migliorare l’efficienza tecnica, che è già elevata nel segmento all’ingrosso, assai meno in quello al dettaglio. L’esempio può venire dai Paesi che hanno forti problemi di inclusione finanziaria: Bahamas ha introdotto una moneta di banca centrale per raggiungere tutte le isole dell’arcipelago, dove un bancomat non sarebbe mai arrivato. Il Brasile, sempre su impulso della banca centrale, ha istituito un sistema retail detto Pix che ha raggiunto due terzi della popolazione a costi nulli per i consumatori e limitati per i commercianti.
Insomma, mentre si discute animatamente sulle regole da applicare alla nuova finanza, occorre anche che gli attori della finanza tradizionale reagiscano in modo adeguato e in questo scenario il ruolo delle banche centrali sarà decisivo. In fin dei conti, sono sempre state in prima linea ( soprattutto in Italia) per ammodernare il sistema dei pagamenti e favorire il progresso delle nuove tecnologie. La sfida di oggi è ancora più impegnativa, ma la posta in gioco è vitale: si tratta della fiducia nella moneta e alla fine della stessa efficacia della politica monetaria. E se la sfida lanciata dalla finanza decentrata fosse vinta da un’istituzione denominata “centrale” sarebbe anche la prova che la storia conosce l’ironia.