Per i laureati più lavoro e stipendi Matricole giù dopo otto anni
Luci e ombre per gli atenei: occupazione ai livelli pre Covid, ancora fuga dal Sud
Prendere una laurea anziché fermarsi al diploma conviene. Tanto per gli sbocchi occupazionali quanto per i benefici retributivi. A ricordarlo, anche stavolta, è il Rapporto AlmaLaurea 2022 sul profilo e la condizione dei laureati presentato ieri a Bologna alla presenza ( in video) della ministra dell’Università, Cristina Messa. E non è una sottolineatura da poco in un Paese che resta penultimo nell’Ue per giovani laureati e che, dopo 8 anni continuo di aumento delle iscrizioni, nel 2021/ 22 ha perso il 3% di matricole. La fotografia complessiva è in chiaroscuro: se, da un lato, il tasso di occupazione, sia a uno che a cinque anni dal titolo, cresce e supera i livelli pre- Covid, dall’altro, persistono i gap territoriali tipici del belpaese. Al punto che la stessa Messa confida in un effetto- Pnrr sulle scelte degli studenti in vista del prossimo anno accademico. Sia per i 250 milioni appostati sull’orientamento dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, che si aggiungeranno a un investimento analogo già fatto sulle borse di studio, sia per le campagne informative da mettere in campo « in quelle università in cui c’è stato il calo » così da « far capire al territorio il ruolo di rilancio che hanno » .
Le luci
Tornando ai dati del Rapporto 2022 di AlmaLaurea la prima buona notizia riguarda il lavoro. A un anno dal titolo, infatti, il tasso di occupazione dei laureati è al 74,5% per le triennali e al 74,6% per le magistrali ( vale a dire + 2,9% e + 0,4% rispetto al 2019, ultimo anno pre- pandemia). A cinque anni dalla laurea sale invece all’ 89,6% per i laureati di primo livello e all’ 88,5% per quelli di secondo livello, contro l’ 88,7% e l’ 86,8% di due anni fa. Con i gruppi disciplinari informatica.
In crescita sono anche le retribuzioni mensili nette medie. A un anno dal titolo un laureato triennale porta a casa 1.340 euro mentre uno con la magistrale ne guadagna 1.407, con un aumento del 9,1% nel primo caso e del 7,7% nel secondo. Allo stesso modo, a 5 anni dalla discussione della tesi, i laureati di primo livello percepiscono 1.554 euro di stipendio e quelli di secondo livello arrivano a 1.635 euro ( e stavolta la crescita è di + 8,3% e + 7,3% sul 2019).
In salute, per quanto riguarda gli sbocchi occupazionali per area disciplinare, ci sono i laureati dei gruppi in informatica e tecnologie Ict, ingegneria industriale e dell’informazione, architettura e ingegneria civile e quelli del gruppo economico oltre a quelli, per le lauree a ciclo unico, dell’ambito medico- farmaceutico. Laddove non raggiungono la media educazione e formazione, arte e design nonché i settori letterario- umanistico e giudico.
Anche le carriere universitarie non sembrano aver risentito più di tanto del Covid come dimostra l’abbassamento dell’età media alla laurea ( 25,7 anni) e l’innalzamento del voto medio ( 103,5 su 110). Contestualmente, grazie al prolungamento della durata degli ultimi due anni causa coronavirus, cresce la fetta di studenti in regola con gli studi.
Le ombre
Del calo di immatricolati si è detto. Mitigato solo in parte dall’incremento delle matricole nelle aree Stem (+ 14%) rispetto al lontano anno accademico 2033/ 04.
Altrettanto preoccupante è la diminuzione di quelle skills che in genere migliorano l’appeal di un curriculum vitae e, dunque, le chances occupazionali. E cioè le esperienze di studio all’estero ( Erasmus eccetera), che scendono all’ 8,5% ( per trovare un dato più basso bisogna tornare al 2011, ndr), e dei tirocini durante gli studi, che calano al 57,1% (- 2,3% sul 2019).
Degni di nota sono infine i tradizionali gap territoriali che vedono, ad esempio, solo il 72% dei diplomati meridionali laurearsi in un ateneo del Mezzogiorno. Nel nostro Paese i flussi per motivi di studio continuano a essere a senso unico. Il saldo migratorio parla chiaro: su 100 laureati che hanno conseguito il diploma in ciascuna macro- area il Nord segna + 23,1%, il Centro + 19,7%, il Sud - 25,7 per cento. Ciò significa che oltre un quarto del capitale umano nato al di sotto del Garigliano parte per studiare e non ritorna più.
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