L’ENERGIA RIMODELLA L’ECONOMIA GLOBALE
Sin dall’inizio della sua presidenza, Vladimir Putin ha riconosciuto l’importanza dell’energia come strumento di potere politico. Per anni Mosca ha potuto vendere gas e greggio all’Europa ottenendo in cambio tecnologia avanzata, in primis tedesca. In un rapporto della Federazione Russa, pubblicato nel 2003, il settore dell’energia è indicato come prioritario sia per la politica interna sia per quella estera, poiché è il ruolo della Russia nei mercati mondiali dell’energia che determina, in larga misura, la sua influenza geopolitica.
La Russia è un petro- Stato che ha avuto un momento di massima ricchezza e di potere nel 2011- 12, quando i prezzi del gas raggiunsero il picco. Eppure, all’epoca del primo grave scontro sul gas fra Ucraina e Russia, nel 2005- 2006, la Ue ha assunto una posizione di neutralità nei riguardi dei due contendenti, benché fosse chiaro che quella crisi aveva effetti diretti sulla sicurezza energetica della Comunità.
Secondo l’Eu- Russia Centre, Mosca interpretò tale atteggiamento come una posizione politica di conciliazione e di tacito consenso, il che contribuì alla formazione di un più grave conflitto all’inizio del 2009. La mancanza di una posizione unitaria europea nelle relazioni con Mosca mostrava le molteplici vulnerabilità della Ue. A cominciare dalla sua incapacità nell’opporsi a un fornitore che usava mezzi commerciali per ottenere obiettivi politici, sino alla frammentazione a livello nazionale del suo mercato dell’energia, ai differenti e contrastanti interessi nel comparto energetico degli Stati aderenti, al dissimile livello di cooperazione fra le compagnie nazionali europee e quelle russe: molto elevato nei casi tedesco, italiano e francese, più lasco negli altri.
La Russia, pur avendo firmato l’Energy Charter Treaty con la Ue nel 1991, non lo ha mai ratificato. Questa posizione è stata confermata ufficialmente da
Mosca nell’aprile 2018. A suo tempo, il Cremlino aveva anche insistito sull’esclusione di gas e petrolio da un eventuale accordo di free trade con Bruxelles. In pratica, la mancanza di un mercato unico del gas in Europa ha finito col favorire il divide et impera di Mosca.
Negli anni Dieci di questo secolo, la Federazione Russa è divenuta il più importante partner nel settore energetico della Ue che ha importato, oltre agli idrocarburi, carbone e uranio dalla Russia. A sua volta, la Ue diveniva il maggior partner commerciale e finanziario del Cremlino, fornendo il 75% degli investimenti esteri diretti in entrata di Mosca.
Finché, la politica di diversificazione energetica perseguita da Bruxelles ha iniziato a infastidire il Cremlino. Nel dicembre 2010, il ministro per l’Energia Sergey Ivanovich Shmatko dichiarò che “sfortunatamente” permaneva un accento di diffidenza e di sfiducia fra i partner russi ed europei. Il gas restava il perno della cooperazione con gli europei, ma il Cremlino riteneva che si dovesse trovare un modo per ampliare la cooperazione anche alle rinnovabili perché la politica di diversificazione finiva col creare costi aggiuntivi.
Pertanto, il sistema globale dell’energia era sotto stress già prima che il presidente Putin decidesse d’invadere l’Ucraina. Nel febbraio 2015 fu pubblicato il documento che indicava l’Unione dell’energia come obiettivo strategico dell’Ue e priorità nevralgica della Commissione Juncker ( 2014- 2019). Pochi mesi dopo, in un’intervista al Corriere della Sera, Putin espresse con chiarezza quanto la questione energetica fosse cruciale per
Mosca. Egli criticò il Terzo Pacchetto europeo dell’energia e, con malcelato livore, gli Stati baltici che pur essendo ancora parte del sistema energetico della ex Urss e, dunque, della Russia, avrebbero adesso dovuto connettersi alle reti elettriche comunitarie in seguito alla loro adesione alla Ue.
Dopo l’annessione della Crimea perpetrata da Mosca, nel maggio 2014 l’European Energy Security Strategy indicò nella sincronizzazione dei Paesi del Baltico un passaggio cruciale per la sicurezza dei network elettrici europei. Il primo Memorandum of Understanding ( MoU) sul Baltic energy market interconnection plan ( Bemip) era stato firmato nel 2009, altre dichiarazioni erano seguite fino alla Roadmap politica, firmata nel giugno 2018, che fissò l’obiettivo di portare a termine l’accordo tecnico di desincronizzazione con gli operatori di Russia e Bielorussia, e l’adozione di eventuali misure per assicurare i necessari servizi alla enclave di Kaliningrad in uno scenario che poneva fine alla possibilità di trasmissione transnazionale crossborder dei flussi di energia. Il 14 luglio 2021 la Commissione europea adottò un pacchetto di proposte per contrarre l’emissione di gas serra del 55% entro il 2030, riduzione nevralgica perché la Ue diventasse il primo continente climateneutral entro il 2050 trasformando il Green Deal in realtà.
Negli ultimi due decenni l’urgenza di ridurre le emissioni di CO2 ha rimodellato l’ordine globale dell’energia. Adesso, come conseguenza della guerra in Ucraina, la sicurezza energetica è tornata in primo piano, insieme al climate change, fra le preoccupazioni dei decisori politici. Di fronte a queste due priorità, se i Paesi si ritirano in blocchi strategici dell’energia, la tendenza all’interconnessione energetica rischia di lasciare il posto a un’età di frammentazione, costringendo a scegliere fra le ambizioni climatiche di domani e il bisogno odierno di combustibile.
Dall’inizio della guerra in Ucraina, la produzione di petrolio russo è in calo. A fine aprile, Mosca ha prodotto circa un milione di barili al giorno in meno, un numero che potrebbe aumentare se l’Ue proseguisse con il suo piano per bandire i combustibili fossili russi entro l’anno.
Ulteriori sforzi sono in corso per completare la sincronizzazione degli Stati baltici con i network Ue entro il 2025, ottenendo il massimo dall’efficienza e dal potenziale di energia rinnovabile sia onshore che offshore. Il collegamento fra la regione del Baltico e l’Europa centro- orientale dovrebbe essere completato nella seconda metà del 2022 con l’interconnessione fra Polonia e Slovacchia.
L’energia è divenuta una delle più importanti questioni nell’agenda politica della Ue. In marzo, le reti elettriche di Ucraina e Moldavia sono state sincronizzate con quella europea continentale. In questo comparto, l’Ucraina è divenuta parte dell’Europa. Ogni speranza russa che essa possa aderire all’Unione economica euroasiatica è svanita. Ma il mix di ambizioni imperiali e di vulnerabilità economiche rende Mosca un partner opaco e pericoloso. C’è da augurarsi, per il futuro dell’Ue, che adesso i leader europei sappiano discernere fra politica di conciliazione e di tacito consenso con più lungimiranza di quanto abbiano fatto in passato.