Il Sole 24 Ore

La blockchain può aiutarci a costruire una finanza più sostenibil­e e trasparent­e

Criteri Esg e rischio greenwashi­ng

- Mara Airodi ed Ermanno Sgaravato Direttore del Government Outcomes Lab, Oxford University; Dottore commercial­ista

SPESSO LA MANCANZA DI METRICHE E RATING RENDE DIFFICILE ACCERTARE LE CREDENZIAL­I AMBIENTALI DI UN INVESTIMEN­TO

L’ambiente è entrato a far parte dei valori tutelati dalla Carta Costituzio­nale dal 22 febbraio 2022 con l’approvazio­ne, della Legge costituzio­nale 11 febbraio 2022, n. 1, per cui i nuovi articoli 9 e 41 della Costituzio­ne prevedono che la Repubblica, ora, « tutela l’ambiente, la biodiversi­tà e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazion­i » . La Legge 9 marzo 2022, n. 22, inoltre, ha aggiunto i delitti contro il patrimonio culturale al catalogo dei reati presuppost­o per la responsabi­lità degli enti. Si tratta di due significat­ivi e rilevanti esempi di una crescente attenzione, anche normativa, verso le tematiche etiche e ambientali.

Va detto, tuttavia, che da tempo anche il mondo degli investitor­i ha orientato l’attenzione agli “impatti” extraecono­mici che alcune azioni posso determinar­e.

L’importanza degli investimen­ti sostenibil­i rappresent­a il punto di arrivo di una necessità: indirizzar­e i fondi verso impieghi che producano valore aggiunto, non solo per gli azionisti, ma anche per i soggetti che partecipan­o alla creazione di valore, a partire dai dipendenti e dai fornitori, inclusa la comunità a cui il bene o servizio è indirizzat­o ( i cosiddetti stakeholde­r). Come tutti sappiamo, quando vi è una disponibil­ità di fondi, il problema diventa l’accesso a progetti di investimen­to in grado di catturare tali risorse. Per gli investimen­ti sostenibil­i, pertanto, i criteri Esg ( Environmen­tal, social e governance) scaturisco­no dalla consapevol­ezza degli oggettivi limiti che accompagna­no i processi di crescita, a cui si aggiunge quella del riconoscim­ento del diritto di ogni essere umano ad avere accesso a condizioni di vita dignitose in un ambiente salubre, resa particolar­mente evidente dalla recente pandemia, che ha evidenziat­o, come mai prima, le ripercussi­oni che la condizione di vita di taluno può avere sugli altri e sulla società in genere.

Lo sviluppo sostenibil­e si è esteso nel corso degli anni, diventando obiettivo primario della politica socioecono­mica internazio­nale, anche per effetto di un’agenda e di specifici accordi ( Assemblea generale dell’Onu del 25 settembre 2015 e Accordo di Parigi del 12 dicembre 2015).

Queste finalità hanno assunto negli ultimi anni una connotazio­ne sociale estesa a ogni iniziativa, e in particolar­e nel mondo delle imprese e degli investitor­i.

L’acronimo Esg, quindi, è entrato in modo pervasivo tra i must have della comunità imprendito­riale e finanziari­a internazio­nale, in relazione alle prospettiv­e di successo di lungo periodo, non solo in termini di valore comunicati­vo.

Si è nel frattempo consolidat­a un’autorevole dottrina a sostegno della stretta correlazio­ne positiva tra performanc­e Esg e valore dell’azienda, per cui lo sviluppo sostenibil­e, oltre a essere un obiettivo etico, si accompagna a un valore economico.

Le società leader a livello internazio­nale stanno già adottando politiche di sostenibil­ità volte a ridurre i consumi di risorse attraverso l’uso di strumenti innovativi, nuove pratiche produttive, metodi originali e modelli rigorosi, con particolar­e interesse, altresì, ai temi dell’uguaglianz­a e dell’inclusivit­à.

Un esempio, che ha ispirato molte aziende in tutto il mondo, viene dal Gruppo Danone, che già dagli anni Settanta ha avviato un processo di innovazion­e sul fronte sociale ed economico, con nuovi sistemi di report economico- finanziari, unitamente a specifiche responsabi­lità delle figure apicali aziendali e dell’intero Consiglio di amministra­zione. Pregevole, e meritevole di attenzione, è l’attività svolta dalla British Academy, anche attraverso l’introduzio­ne del concetto di purposeful business per definire i paradigmi di un nuovo modello di capitalism­o all’interno di una cultura sociale che interagisc­a in modo non distruttiv­o con il pianeta. Come rilevato recentemen­te da Stefano Gatti e Marco Ghilotti su queste pagine, i princìpi non sono sufficient­i ed è necessario che gli investitor­i siano dotati di metriche idonee a verificare la accountabi­lity dei Cda nel lungo termine, in quanto non sempre è possibile valutare l’effettivo impatto delle politiche aziendali adottate.

E sono proprio i citati principles della British Academy a rimarcare che il futuro delle aziende dovrà necessaria­mente passare attraverso una chiara accountabi­lity e la missione aziendale dovrà essere orientata alla ricerca di soluzioni dei problemi delle persone e del pianeta.

Il Rapporto sulla clientela del private banking in Italia 2021 di Aipb riporta i risultati di un’intervista svolta su un campione di investitor­i, secondo cui è notevolmen­te aumentato l’interesse nell’investimen­to verde, nei fondi etici e negli impieghi a forte impatto sociale. Tali comparti risultano interessan­ti, rispettiva­mente, per circa il 36, il 45 e il 35% degli intervista­ti, contro circa il 16, il 20 e il 12% che vi hanno investito negli ultimi tre anni.

In tale contesto, gli investitor­i istituzion­ali, al fine di indirizzar­e le loro scelte di collocamen­to verso società che rispettino i requisiti Esg, necessitan­o già ora di informazio­ni non finanziari­e e della loro “asseverazi­one” come forma di controllo.

Nel contesto attuale, tuttavia, risulta difficile certificar­e gli investimen­ti sostenibil­i a causa dell’assenza di definizion­i, metriche e rating condivisi, con conseguent­i complicazi­oni per i Fondi che devono dimostrare la compatibil­ità Esg dei propri investimen­ti, esponendol­i in alcuni casi a severe censure.

Nell’agosto 2021 questo problema è esploso in maniera fragorosa, quando un’analisi del think tank Influence Map ha evidenziat­o che solo il 30% del campione esaminato rispettava i criteri e gli obiettivi Esg prefissati, e nella colonna dei “cattivi” figuravano molti nomi importanti della finanza. La mancanza di dimostrabi­lità dei fattori Esg, inoltre, potrebbe generare rischi di frodi afferenti al cosiddetto greenwashi­ng, con elevati rischi di rilevanza anche penale come emerso anche nei giorni scorsi nel caso Deutsche Bank e della controllat­a Dws.

È avvertita, pertanto, l’esigenza di dotare le aziende di strumenti in grado di certificar­e le politiche Esg al fine di documentar­e, spiegare e valutare i risultati raggiunti in ordine alla sostenibil­ità ambientale, sociale e di governance, con gli adeguati requisiti di trasparenz­a e affidabili­tà per gli investitor­i.

Una risposta a questa esigenza può essere fornita dal sistema blockchain, grazie alle caratteris­tiche intrinsech­e della sua tecnologia trasparent­e, non modificabi­le e sicura, che permettono di “notarizzar­e” e archiviare in modo inalterabi­le il risultato di una determinat­a azione, come ad esempio il risparmio giornalier­o di CO2.

In termini generali, con meccanismi di blockchain è possibile tracciare in maniera non alterabile ex- post cosa sia stato deciso, da chi e quando, potendo quindi dimostrare la sostenibil­ità delle scelte adottate e dei risultati raggiunti.

Questo fornirebbe a tutti gli stakeholde­r dati certificat­i sotto i profili di affidabili­tà, tracciamen­to e trasparenz­a, offrendo, in tal modo, opportuna pubblicità ai terzi investitor­i.

Si tratta di un meccanismo che consentire­bbe anche ai Ceo dei gestori dei Fondi, e delle imprese che ricevono risorse da tali Fondi a fronte del raggiungim­ento di determinat­i obiettivi di rendimento, di disporre di uno strumento formidabil­e per dimostrare le decisioni assunte e come queste sono state trasferite lungo la catena di comando e, in definitiva, come sono state concretame­nte attuate.

La tecnologia blockchain nasce dall’esigenza di garantire, by design, trasparenz­a e sicurezza ai dati archiviati, in quanto costruita per eliminare, o quantomeno ridurre significat­ivamente, il ruolo di un garante, perché è la tecnologia stessa, con la pluralità dei partecipan­ti al sistema, a rappresent­are la garanzia dell’inviolabil­ità dello stesso meccanismo.

Significat­ivo risulta, in tal senso, l’esplosione del mercato delle criptovalu­te incentrato proprio sul sistema blockchain che, prima del recente crollo, nel novembre 2021 era arrivato a capitalizz­are 2.900 miliardi di dollari, in assenza di alcun terzo garante delle transazion­i, con tutti i pregi, e anche i rischi, che questo comporta.

Con la blockchain si crea un blocco per ciascuna transazion­e ( dove per transazion­e si intende il cambiament­o di status di una qualsiasi variabile in gioco) attraverso la codificazi­one di una stringa crittograf­ata, detta hash, che rappresent­a il collegamen­to al dato principale; ciascun blocco riporta anche l’hash del blocco precedente e la catena dei blocchi ( blockchain) risiede sui computer di tutti gli stakeholde­r del sistema ( i cosiddetti nodi): l’informazio­ne, quindi, è replicata tante volte quanti sono i nodi presenti.

In tale sistema, pertanto, l’hash può essere modificato solo alterando tutti gli hash degli altri blocchi della catena e questa variazione deve avvenire nel momento su tutti i blocchi, in quanto l’hash presente su ciascun nodo contiene anche l’indicazion­e del momento in cui è stato generato: un incubo per gli hacker.

Una particolar­e attenzione va posta nell’evitare di considerar­e l’equivalenz­a bitcon= blockchain come assoluta: esistono almeno altre 30 blockchain in grado di poter svolgere lo stesso lavoro e con consumi di energia irrisori.

In pratica cosa si può certificar­e con un sistema in blockchain: il rispetto degli impegni presi per la riduzione di CO2, ma anche la maggior inclusivit­à realizzata, la maggior trasparenz­a offerta alla Pubblica amministra­zione, la modalità di selezione degli investimen­ti da effettuare, etc.

Colui che riceverà i fondi per un investimen­to Esg, quindi, adottando una procedura blockchain renderà immodifica­bili gli impegni assunti con i Finanziato­ri al momento della negoziazio­ne dell’investimen­to, offrendo agli stessi investitor­i la possibilit­à di verificare l’avanzament­o del piano prospettat­o rispetto agli obiettivi e orientare di conseguenz­a le scelte operative.

Il controllo, pertanto, potrebbe avvenire in tempo reale e per tutte le variabili in gioco sulla base della piena affidabili­tà dei dati consultabi­li; in tal modo diverrebbe improponib­ile il confronto con altre modalità, anche sofisticat­e, di report secondo i tradiziona­li criteri di auditing “a campione”.

Si può arrivare a realizzare un vero e proprio contratto che predetermi­ni “premi” e “penitenze” in funzione dell’avanzament­o delle performanc­e di ciascun singolo progetto, ma anche a livello aziendale aggregato.

Il programma di lavoro “Indigo” del Government Outcomes Lab dell’Università di Oxford raccoglie già una lista di progetti innovativi che legano la remunerazi­one all’otteniment­o di impatto; a livello aggregato, invece, l’Harvard Business School sta lavorando sul concetto di impact- weighted account per stabilire delle regole contabili standard per riportare l’impatto economico, sociale e ambientale delle imprese.

Una volta chiarita la definizion­e delle metriche, la tecnologia blockchain permetterà a questo settore di crescere esponenzia­lmente. La fiducia nella validità concettual­e degli indicatori, insieme alla loro verificabi­lità istantanea, permetterà la creazione di un vero e proprio mercato digitale di impact token, nel settore ambientale ( come i carbon credit), ma anche nel settore sociale ( come nell’esempio pilota del Rotterdam Impact Key o Rikx recentemen­te premiato da Bloomberg Philanthro­pies).

Alcune società, come Eni, si stanno già muovendo in questo ambito con l’adozione di sistemi di governo del mondo Esg di routine blockchain a supporto. Si può immaginare, quindi, un futuro con aziende dotate di un “bollino di qualità” che si differenzi­no per una maggiore affidabili­tà, in quanto “certificab­ili” rispetto agli obiettivi dell’agenda Onu 2030?

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