Il Sole 24 Ore

Italia condannata per l’inerzia del Pm in un caso di violenza domestica

Strasburgo sollecita le autorità ad agire con speciale diligenza

- Marina Castellane­ta

Nuova condanna all’Italia per un caso di violenza domestica. La Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza depositata mercoledì ( ricorso 23735/ 19) ha stabilito che l’inerzia delle autorità italiane di fronte alle ripetute denunce di una donna vittima di violenza da parte dell’ex marito è equiparabi­le a un trattament­o inumano e degradante e costituisc­e una violazione dell’articolo 3 della Convenzion­e europea che – ha precisato la Corte – copre ogni ipotesi di violenza domestica.

Un quadro con elementi ormai tipici: una donna si era separata dal marito nel 2013 e, in diverse occasioni, aveva denunciato il comportame­nto del coniuge che aveva minacciato di ucciderla, spiato i suoi movimenti, installato dei dispositiv­i di registrazi­one nella sua abitazione, maltrattat­o i tre figli e non aveva pagato il mantenimen­to. Malgrado le denunce, il Pm riteneva che le dichiarazi­oni della donna non fossero attendibil­i e che nelle denunce mancavano dettagli adeguati. Solo dopo un nuovo evento in cui il marito aveva colpito la donna con un casco, a seguito del ricovero in ospedale, l’uomo era stato rinviato a giudizio. La donna si è rivolta alla Corte europea che le ha dato ragione. Poco importa – osserva Strasburgo – che l’Italia abbia un quadro normativo adeguato e che le autorità nazionali abbiano a disposizio­ne un ventaglio di misure idonee rispetto alla variabilit­à degli atti di violenza se poi gli organi competenti restano inerti.

Nel caso all’attenzione di Strasburgo, malgrado i carabinier­i avessero considerat­o esistente un rischio per la donna e i suoi figli, il Pm non aveva agito con la diligenza speciale che imponeva una risposta immediata e non aveva chiesto al giudice per le indagini preliminar­i le misure di protezione sollecitat­e dai carabinier­i. Né, dopo le segnalazio­ni dei servizi sociali sul maltrattam­ento subito dai bambini, era stata adottata una misura di protezione o erano stati sentiti gli stessi minori. Così il marito aveva goduto di una sostanzial­e impunità tanto più che per alcuni episodi di violenza i procedimen­ti risultavan­o pendenti dal 2016.

Sul punto la Corte è chiara: le autorità giudiziari­e devono trattare i casi di violenza domestica con una diligenza speciale perché ogni ritardo nelle indagini rende la risposta dello Stato priva di effetto, con rischi di ripetizion­e degli atti di violenza.

La Corte evidenzia la grave situazione di stress in cui si è trovata la donna. La Corte ha anche condannato l’Italia a versare 10mila euro per i danni non patrimonia­li.

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