Macron, maggioranza assoluta a rischio
Un canard boîteux. Un’anatra zoppa. Non si usa molto, questo concetto, in Francia. Questo però i cittadini vogliono che sia il presidente Emmanuel Macron. Il 32% è favorevole a un governo Jean- Luc Mélenchon, che non potrà ottenere la maggioranza assoluta, al secondo turno delle legislative di oggi; al 38% va invece bene una maggioranza per il presidente, purché sia però relativa. Solo il 25% dei francesi vuole davvero un governo del presidente, che completi il suo programma, le sue riforme. A cominciare dalla riforma delle pensioni a cui la maggioranza dei cittadini è invece contraria.
I sondaggi non concedono a Macron un risultato diverso da quello sperato dalla maggioranza dei francesi. I pochi realizzati dopo il primo turno non danno all’alleanza presidenziale, Ensemble!, più di 305 deputati nella migliore, ma non la più probabile, delle ipotesi, contro una maggioranza assoluta di 289 deputati e una uscente di 350. Nella peggiore delle ipotesi potrebbe però ritrovarsi – e il sondaggio è di venerdì – con solo 230 deputati: un’indicazione anomala rispetto alle altre, che va comunque registrata. Anche una maggioranza del 52% nell’Assemblée nationale potrebbe non essere sufficiente, per le ambizioni del presidente. Soprattutto se la piazza dovesse di nuovo infiammarsi, come accade molto spesso in Francia, e non solo su iniziativa e con le modalità dei Gilets Jaunes. Macron non può più essere rieletto, e una componente importante della sua alleanza risponde al popolare Edouard Philippe, che potrebbe essere il suo successore e potrebbe quindi prestare più attenzione del presidente agli umori dei cittadini; e così molti altri deputati, in vista del 2027.
Macron è del resto sostenuto da un variegato gruppo politico e sociale che vuole lasciare il segno e, possibilmente, continuare a portare avanti una certa idea della Francia repubblicana; e se ieri l’avversario era il populismo plebiscitario di Marine Le Pen e della sua stirpe, oggi il quadro si è complicato. Mélenchon, anch’egli populista e plebiscitario, ma di segno opposto – e apparentemente più rassicurante – rispetto al Rassemblement national o anche alla Reconquête di Eric Zemmour, è riuscito a lasciare il segno su tutta la sinistra. La Nupes – Nouvelle Union Populaire Ecologique et sociale – è al momento soltanto un cartello elettorale, ma la vittoria può coagulare i consensi.
Per superare l’impasse, soprattutto nel caso in cui non conquisti la maggioranza assoluta, Macron avrà la necessità di “arruolare” deputati eletti tra i suoi avversari. La necessità di avere un Sénat, nominato dagli enti locali, non troppo lontano da sé – la Francia, contrariamente a quanto si crede, ha un bicameralismo perfetto, con qualche clausola per evitare gli stalli e i continui rimpalli dei disegni di legge – consiglia di avere un atteggiamento “ecumenico”. Candidati non mancano: tra i gollisti – Sarkozy è un amico, anche in senso politico – e tra i socialisti, non del tutto contenti dell’abbraccio di Mélenchon: sono due forze ancora molto presenti a livello locale ( e quindi nella Camera alta) e possono servire allo scopo. Più difficile il gioco con i Verts francesi: sono abbastanza pragmatici, ma Macron si è spesso ammantato di una sensibilità ecologista senza far seguire alla parole fatti davvero conseguenti sui temi più cari ai verdi. Al di là della transizione energetica, che ha più un carattere strategico – l’indipendenza – che davvero ambientale.
Il macronismo ha tatticamente spazio per agire. Strategicamente dovrà però fare i conti, in questi cinque anni, con se stesso, con gli esiti che ha generato: lo svuotamento dei partiti che si riconoscono nel quadro repubblicano – la liberaldemocrazia rappresentativa, pur alterata dal semipresidenzialismo, dichiaratamente europeista – a favore di due diversi estremismi che guadagnano terreno. La sfida, per il 2027, è questa.