Nelle aziende in crisi protezioni solo per 12 mesi
Il Codice della crisi in vigore il 15 luglio: delimitati i tempi per le ristrutturazioni Abbandonata l’impostazione burocratica e punitiva caratterizzante l’allerta
Sotto la ben augurale stella di Sant’Antonio, lunedì scorso è stata approvata la versione finale del Codice della crisi, destinato a entrare in vigore, dopo una lunghissima gestazione, il 15 luglio. Da quella data non soltanto scomparirà finalmente dal nostro ordinamento il termine “fallimento”, ma si inaugurerà un nuovo scenario in gran parte inedito.
La novità più rilevante, sul piano applicativo, è rappresentata dalla previsione che fissa in 12 mesi la durata complessiva delle misure protettive accordabili all'impresa in crisi fino all'omologazione del quadro di ristrutturazione o all'apertura della procedura d'insolvenza.
Questa regola, imposta dalla direttiva Insolvency, è destinata a rappresentare un convitato di pietra di ogni decisione relativa alla scelta dello strumento di ristrutturazione e al momento in cui attivarlo, sollecitando uno scarto culturale rispetto alla prassi odierna, nella quale tra la domanda prenotativa e l'omologazione ( talora addirittura, l'ammissione al concordato) intercorre un arco temporale che decampa il più delle volte la cornice protettiva accordabile in base alla nuova norma.
In questa prospettiva acceleratoria, centrale è il ruolo degli organi di amministrazione e controllo nel verificare l'adeguatezza degli assetti dell'impresa ai fini della tempestiva percezione dei segnali di crisi.
La consacrazione della composizione negoziata e il definitivo abbandono della procedura di allerta inizialmente prevista dal Codice del 2019 costituisce uno dei pregi del nuovo testo. Ben pochi rimpiangeranno quei meccanismi più burocratici e dal vago sentore prefallimentare, rafforzato dalla previsione dell'intervento finale del pubblico ministero in caso di cattivo esito dei tentativi di risanamento. Il nuovo quadro non attenua, ma anzi accentua i doveri degli amministratori di puntuale attivazione degli strumenti di contrasto alla crisi, a partire dal percorso di composizione negoziata che costituisce la premessa per accedere al concordato semplificato liquidatorio e per estendere ai creditori non aderenti gli accordi di ristrutturazione ( basterà l'adesione del 60% per trascinare il restante 40), imponendo sin dall'avvio delle trattative pregnanti doveri di collaborazione ai creditori.
In capo alle banche e soprattutto ai cessionari dei crediti bancari, sino a ieri riottosi alla negoziazione, si prevede un obbligo di partecipare alle trattative in modo attivo e informato, dando riscontri in tempi rapidi e impedendo di invocare l'accesso alla composizione negoziata come causa di revoca ( e, ora si precisa, anche di sospensione) degli affidamenti concessi.
Sull'eventuale piedistallo della negoziazione condotta dall'esperto - che, viene chiarito, non ha doveri di segnalazione al pubblico ministero - si colloca una nuova sistematica che distingue tra quadri di ristrutturazione preventiva, da un lato, e strumenti liquidatori, dall'altro.
Nel primo ambito rientrano il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione con continuità e la nuova figura intermedia del piano di ristrutturazione omologato.
Nel secondo campo vanno collocati, oltre alla liquidazione giudiziale, il concordato liquidatorio ( incluso il concordato semplificato) e gli accordi di ristrutturazione non in continuità.
Si determina così una netta divaricazione tra concordato liquidatorio, che rimane ispirato all'originaria impostazione del Codice del 2019, e concordato con continuità, con riguardo al quale si recepiscono i principi della direttiva. Questa frammentazione si riflette in regole peculiari riservate a quest'ultimo, tra le quali fanno spicco l'inefficacia delle clausole risolutive collegate all'avvio della procedura, i quorum agevolati per l'approvazione del concordato e la relative priority rule, che consente di ampliare l'autonomia contrattuale nella destinazione del surplus derivante dalla continuazione dell'attività oltre i tradizionali limiti del rispetto della cause legittime di prelazione.
Ulteriori fiori all'occhiello della riforma sono rappresentati, oltre alla disciplina degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa già anticipata con il Dl 118 del 2021, dalle regole sulla crisi dei gruppi di società e dalle innovative disposizioni sui quadri di ristrutturazione preventiva delle società, che assegnano agli amministratori la competenza in ordine all'avvio dello strumento di ristrutturazione, sopprimendo la possibilità di deroghe statutarie volte a riespandere il potere dei soci che si vedono preclusa, anche nelle Spa, la possibilità di sostituire gli amministratori in corso di mandato, in assenza di giusta causa di revoca. Questa posizione imperativamente latente dei soci si riverbera nella esclusione di poteri di veto su operazioni straordinarie contemplate nel piano di ristrutturazione. Al punto da interrogarsi se la nuova disciplina legittimi una conversione forzata dei crediti dei soci in capitale, qualora nel piano si preveda un aumento di capitale da sottoscrivere mediante compensazione. Se in linea di principio il consenso del sottoscrittore non parrebbe surrogabile, perché riguarda un atto e un diritto dei soci come terzi, a diversa soluzione si potrebbe pervenire se venissero inquadrati in una classe come creditori subordinati e sottoposti a cram down.