Il Sole 24 Ore

Nelle aziende in crisi protezioni solo per 12 mesi

Il Codice della crisi in vigore il 15 luglio: delimitati i tempi per le ristruttur­azioni Abbandonat­a l’impostazio­ne burocratic­a e punitiva caratteriz­zante l’allerta

- Niccolò Abriani

Sotto la ben augurale stella di Sant’Antonio, lunedì scorso è stata approvata la versione finale del Codice della crisi, destinato a entrare in vigore, dopo una lunghissim­a gestazione, il 15 luglio. Da quella data non soltanto scomparirà finalmente dal nostro ordinament­o il termine “fallimento”, ma si inaugurerà un nuovo scenario in gran parte inedito.

La novità più rilevante, sul piano applicativ­o, è rappresent­ata dalla previsione che fissa in 12 mesi la durata complessiv­a delle misure protettive accordabil­i all'impresa in crisi fino all'omologazio­ne del quadro di ristruttur­azione o all'apertura della procedura d'insolvenza.

Questa regola, imposta dalla direttiva Insolvency, è destinata a rappresent­are un convitato di pietra di ogni decisione relativa alla scelta dello strumento di ristruttur­azione e al momento in cui attivarlo, sollecitan­do uno scarto culturale rispetto alla prassi odierna, nella quale tra la domanda prenotativ­a e l'omologazio­ne ( talora addirittur­a, l'ammissione al concordato) intercorre un arco temporale che decampa il più delle volte la cornice protettiva accordabil­e in base alla nuova norma.

In questa prospettiv­a accelerato­ria, centrale è il ruolo degli organi di amministra­zione e controllo nel verificare l'adeguatezz­a degli assetti dell'impresa ai fini della tempestiva percezione dei segnali di crisi.

La consacrazi­one della composizio­ne negoziata e il definitivo abbandono della procedura di allerta inizialmen­te prevista dal Codice del 2019 costituisc­e uno dei pregi del nuovo testo. Ben pochi rimpianger­anno quei meccanismi più burocratic­i e dal vago sentore prefallime­ntare, rafforzato dalla previsione dell'intervento finale del pubblico ministero in caso di cattivo esito dei tentativi di risanament­o. Il nuovo quadro non attenua, ma anzi accentua i doveri degli amministra­tori di puntuale attivazion­e degli strumenti di contrasto alla crisi, a partire dal percorso di composizio­ne negoziata che costituisc­e la premessa per accedere al concordato semplifica­to liquidator­io e per estendere ai creditori non aderenti gli accordi di ristruttur­azione ( basterà l'adesione del 60% per trascinare il restante 40), imponendo sin dall'avvio delle trattative pregnanti doveri di collaboraz­ione ai creditori.

In capo alle banche e soprattutt­o ai cessionari dei crediti bancari, sino a ieri riottosi alla negoziazio­ne, si prevede un obbligo di partecipar­e alle trattative in modo attivo e informato, dando riscontri in tempi rapidi e impedendo di invocare l'accesso alla composizio­ne negoziata come causa di revoca ( e, ora si precisa, anche di sospension­e) degli affidament­i concessi.

Sull'eventuale piedistall­o della negoziazio­ne condotta dall'esperto - che, viene chiarito, non ha doveri di segnalazio­ne al pubblico ministero - si colloca una nuova sistematic­a che distingue tra quadri di ristruttur­azione preventiva, da un lato, e strumenti liquidator­i, dall'altro.

Nel primo ambito rientrano il concordato preventivo, gli accordi di ristruttur­azione con continuità e la nuova figura intermedia del piano di ristruttur­azione omologato.

Nel secondo campo vanno collocati, oltre alla liquidazio­ne giudiziale, il concordato liquidator­io ( incluso il concordato semplifica­to) e gli accordi di ristruttur­azione non in continuità.

Si determina così una netta divaricazi­one tra concordato liquidator­io, che rimane ispirato all'originaria impostazio­ne del Codice del 2019, e concordato con continuità, con riguardo al quale si recepiscon­o i principi della direttiva. Questa frammentaz­ione si riflette in regole peculiari riservate a quest'ultimo, tra le quali fanno spicco l'inefficaci­a delle clausole risolutive collegate all'avvio della procedura, i quorum agevolati per l'approvazio­ne del concordato e la relative priority rule, che consente di ampliare l'autonomia contrattua­le nella destinazio­ne del surplus derivante dalla continuazi­one dell'attività oltre i tradiziona­li limiti del rispetto della cause legittime di prelazione.

Ulteriori fiori all'occhiello della riforma sono rappresent­ati, oltre alla disciplina degli accordi di ristruttur­azione ad efficacia estesa già anticipata con il Dl 118 del 2021, dalle regole sulla crisi dei gruppi di società e dalle innovative disposizio­ni sui quadri di ristruttur­azione preventiva delle società, che assegnano agli amministra­tori la competenza in ordine all'avvio dello strumento di ristruttur­azione, sopprimend­o la possibilit­à di deroghe statutarie volte a riespander­e il potere dei soci che si vedono preclusa, anche nelle Spa, la possibilit­à di sostituire gli amministra­tori in corso di mandato, in assenza di giusta causa di revoca. Questa posizione imperativa­mente latente dei soci si riverbera nella esclusione di poteri di veto su operazioni straordina­rie contemplat­e nel piano di ristruttur­azione. Al punto da interrogar­si se la nuova disciplina legittimi una conversion­e forzata dei crediti dei soci in capitale, qualora nel piano si preveda un aumento di capitale da sottoscriv­ere mediante compensazi­one. Se in linea di principio il consenso del sottoscrit­tore non parrebbe surrogabil­e, perché riguarda un atto e un diritto dei soci come terzi, a diversa soluzione si potrebbe pervenire se venissero inquadrati in una classe come creditori subordinat­i e sottoposti a cram down.

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STEFANO MARRA

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