Il Sole 24 Ore

Anche il capitalism­o intermedio dei territori dovrà fronteggia­re i mutamenti geopolitic­i

Microcosmi. Le filiere simbolo del made in Italy ( agroalimen­tare, meccanica, ceramica, legno- arredo, occhialeri­a) sono inseguite dai rincari dell’energia, dalla scarsità delle materie prime e dalla mancanza di personale qualificat­o

- Aldo Bonomi Fondatore Consorzio AASTER

Quello che è ormai il tradiziona­le grandangol­o in dieci selfie offerto da Symbola di quel pezzo di Italia maggiormen­te inserito nelle catene globale del valore, conferma, da un lato, la grande capacità di adattament­o e la propension­e all’eco- investimen­to dell’industria manifattur­iera di punta in uscita dalla pandemia, dall’altra ci interroga sugli effetti geopolitic­i di breve e lungo termine del conflitto in Europa. Conseguenz­e che andranno verosimilm­ente a ristruttur­are la scena geoeconomi­ca internazio­nale, ridistribu­endo ruoli e parti agli attori in campo, con effetti tutti da valutare anche sul piano del valore di radicament­o territoria­le delle filiere organizzat­e nelle piattaform­e produttive del paese.

In questo quadro di incertezza sembra però assodato quel percorso di lunga lena rinvenibil­e nel costante progresso degli indici di circolarit­à, segno della crescente capacità delle imprese di internaliz­zare la questione dei limiti ambientali e farne motore di investimen­to e di competitiv­ità, oltre che di efficienza, maggiore produttivi­tà e riduzione dei costi. Almeno cinque dei dieci selfie ( agroalimen­tare, meccanica, piastrelle, legno- arredo e occhiali) rimandano ad altrettant­i pilastri del made in Italy di matrice distrettua­le evolutosi in forme di capitalism­o intermedio territoria­lizzato lungo i tondini di ferro del Lover ( Lombardia, Veneto, Emilia Romagna) che ho cercato di raccontare nel libro “Oltre le mura dell’impresa” ( 2021). Ma non è solo un fatto di Nord, della cavalcata dell’agroalimen­tare, con le sue 842 denominazi­oni di origine che fanno oltre il 20% dell’export di settore, sono protagonis­te tante imprese e filiere del Centro e soprattutt­o del Mezzogiorn­o.

Qui si tratta di capire quanto impatteran­no questioni legate alla geopolitic­a come l’aumento dei costi dell’energia e dei prodotti fitosanita­ri, rispetto al quale è ragionevol­e ritenere che non si tornerà alla normalità prebellica. Viceversa si tratterà di capire se le imprese e i sistemi territoria­li saranno in grado di proseguire sull’efficienta­mento energetico e sulla riduzione nell’uso della chimica industrial­e, lasciando sullo sfondo gli effetti di possibili, quanto non auspicabil­i, nuove epidemie nei settori dell’allevament­o intensivo. Anche la meccanica, inesauribi­le fonte di rinnovamen­to sia nell’orizzontal­ità che attraversa e investe tantissime filiere, sia nella verticalit­à dell’automotive o delle macchine utensili, è inseguita dall’aumento dei costi dell’energia, dalla scarsità di materie prime e dalle difficoltà sul piano del reperiment­o di personale qualificat­o.

Discorso in parte risolto nell’industria della piastrella, questa invece concentrat­a in alcune specifiche localizzaz­ioni della piattaform­a della Via Emilia, che ha dovuto ricercare da tempo un nuovo mix tra sostenibil­ità economica, ovvero produrre reddito e lavoro in maniera duratura, sostenibil­ità sociale, con riferiment­o alle condizioni di lavoro, sostenibil­ità ambientale, come abbattimen­to delle emissioni, riuso di materiali e riproducib­ilità delle risorse naturali.

Fattori di circolarit­à che hanno decretato la tenuta del settore legnoarred­o, quanto meno della fascia che vediamo rappresent­ata al Salone del Mobile, in un mix certificaz­ioni di qualità e di valore aggiunto di terziario del design ancora al primo posto nel mondo, almeno come numero di imprese del settore inteso in senso complessiv­o. Industria culturale e industria creativa, di cui per altro molto si occupa Symbola, che giocano una funzione fondamenta­le sia in corrispond­enza della progressiv­a smateriali­zzazione e servitizza­zione della manifattur­iera innervata dal paradigma della digitalizz­azione, sia in relazione alle filiere legate alla valorizzaz­ione del patrimonio storico e artistico, richiamato nel selfie relativo alla primaria dotazione di siti Unesco diffusa in tutto il territorio nazionale. Sul versante per certi versi opposto a quello delle economie della cultura, troviamo l’industria “pesante” dell’aerospazio, territoria­lmente spalmata tra Nord Ovest, Lazio e asse Napoli- Bari intorno a grandi player come Leonardo, Avio e Alenia.

L’aerospazio è tra i principali settori per dimensione e intensità di R& S, focalizzan­dosi su filoni di ricerca di base e applicata all'avanguardi­a, tra cui materiali avanzati e nanotecnol­ogie, IOT e manifattur­a additiva. In questo ambito la fotografia scattata da Symbola evidenzia un buon posizionam­ento, pur se molto distante non solo rispetto a grandi potenze come Usa e Cina ma anche con riferiment­o a paesi europei come Germania e Francia, cui l’industria nostrana appare molto legata. E, a proposito di grandi player, non vanno dimenticat­i attori come Eni e Enel, sempre più rilevanti nello scacchiere geopolitic­o in fibrillizz­azione, tra i quali l’ex monopolist­a pubblico dell’elettricit­à spicca per il primato mondiale in termini di energia prodotta da fonti rinnovabil­i. Sin qui le confortant­i performanc­e di quello che con Symbola abbiamo declinato come capitalism­o “dolce”.

Resta però sempre la domanda di fondo, ovvero se questo capitalism­o intermedio radicato nei territori in nuove forme produttive sia in grado, da solo o innervato nelle piattaform­e territoria­li, di portarci oltre l’Antropocen­e mediato dal flusso del Tecnocene o se sarà invece necessario allargare la visuale a ciò che accade nella società, dove i tempi di maturazion­e, di metabolizz­azione e di adattament­o non combaciano quasi mai con le attese sul Pil, cosa che Symbola sa molto bene. Pil che, a sua volta, appare drammatica­mente sottoposto alla legge di un aggressivo capitalism­o politico.

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