Macron cerca spazio politico per una maggioranza larga
Il governo appare a rischio: esce di scena la ministra della Sanità, non eletta
Il giorno della sconfitta Il presidente ha convocato all’Eliseo, per oggi e domani, tutte le forze politiche
È il giorno della sconfitta, per Macron. Ha, con 244 deputati, la maggioranza relativa, ma non quella assoluta ( 289 seggi). Dovrà - come Mitterrand con il governo Rocard e De Gaulle con il governo Debré - scendere a patti con le altre forze politiche, annacquare il proprio programma, abbandonare alcune riforme - piuttosto importanti per la tenuta del sistema di welfare francese - come quella delle pensioni.
Il presidente ha già convocato all’Eliseo, per oggi e domani, i rappresentanti di tutte le forze politiche intenzionate a formare un gruppo nell’Assemblée per « costruire soluzioni al servizio dei francesi » dal momento che « non c’è una maggioranza alternativa » . Il quadro complessivo però è desolante. La tenuta del governo di Elisabeth Borne è a rischio. Le richieste di dimissioni sono forti. La ministra della Salute, Brigitte Bourguignon, non eletta per 56 voti, ha già presentato le dimissioni.
L’Assemblée nationale non dà al momento molto spazio: Ensemble! passa da 350 a 245 seggi, e Lrem, il partito ispirato dal presidente al punto da portare nella sigla le sue iniziali ( in origine era Em, En Marche!), scende da 308 a 170 deputati. Nupes ottiene 131 deputati ( i singoli partiti avevano in tutto 57 seggi), mentre la debolezza dei macroniani e la forza del cartello elettorale della sinistra ha permesso l’ascesa anche del Rassemblement national che, con il 18,68% dei consensi al primo turno, ha conquistato 89 seggi, dagli otto del 2017. Ora Marine Le Pen rivendica la presidenza della cruciale Commissione Finanze, da quindici anni affidata alle opposizioni. Ha perso anche la destra repubblicana, les Républicains ( Lr) sono passati da 111 a 61 deputati, l’Udi da 18 a tre: l’opposizione a Macron, nel confronto con quella di Le Pen e di Mélenchon, non ha pagato; e se oggi il presidente di Lr, Christian Jacob ripete: « Siamo all’opposizione, al governo e a Macron » , non si può scommettere che la linea del partito resti immutata.
Per ottenere un sostegno solido a un proprio governo Macron avrebbe bisogno di più dei 44 deputati che separano il suo gruppo dai 289 seggi della maggioranza assoluta. Anche se lo sfaldamento del cartello di sinistra - l’idea di Mélenchon di formare un gruppo unico è stata respinta da tutti - potrebbe offrire qualche possibilità.
Sembra però più un puzzle da completare che un’alleanza da costruire: un po’ di socialisti, magari pescando tra i dissidenti che si sono presentati da soli, qualche verde, qualche gollista. Le burrascose coalizioni di Debré e Rocard erano formate, rispettivamente, da due e tre forze politiche... Il timore degli opposti populismi, quello di sinistra che si è rivelato in queste elezioni, e quello di destra che è esploso, potrebbe non bastare come collante. È vero che il macronismo è nato così, unendo pezzi di altri partiti; ma ha appunto raggiunto il suo apice e Lrem, non a caso, ha perso quasi metà dei suoi deputati. Non basta più neanche l’europeismo: a Parigi, Clément Beaune, ministro per l’Europa, è stato eletto con un margine di 658 voti, meno dell’ 1,5%, sull’avversaria, la verde Caroline Mécary.
Quanto accadrà nelle prossime settimane servirà anche a capire se lo svuotamento dei partiti tradizionali innescato da Macron sia stato il catalizzatore di una fase politica nuova, non solo francese, caratterizzata da una contrapposizione tra forze liberaldemocratiche - un fronte repubblicano che Le Figaro, con una scelta rivelatrice e inquietante, chiama però “blocco elitario” - e populismi di opposto schieramento; o abbia piuttosto ferito il sistema francese, in un momento delicato della sua vita.
I tempi sembrano incombere: il 28 giugno, l’Assemblée voterà il suo ( o la sua) presidente, e di seguito le altre cariche, e già occorrerà un’intesa. Il 5 luglio Nupes presenterà la prima mozione di sfiducia. Si comincia subito.