Il Sole 24 Ore

Dichiarazi­oni ravvedute, stop all’integrazio­ne

Resta il nodo del differente trattament­o tra denunce originarie e « ravvedute »

- Luigi Lovecchio

La risposta delle Entrate dopo le sentenze discordant­i della Cassazione

La possibilit­à di integrare la dichiarazi­one tributaria riguarda solo le dichiarazi­oni originaria­mente presentate, non anche quelle ravvedute. Restano però fermi i limiti generali all’emendabili­tà della dichiarazi­one. Questa è la risposta dell’agenzia delle Entrate fornita a un quesito formulato in occasione dello speciale Telefisco del 15 giugno.

Il quesito proposto mirava a conoscere il parere delle Entrate sulla possibilit­à di rivedere i comportame­nti adottati dal contribuen­te in sede di ravvedimen­to operoso. A fronte infatti delle prassi degli Uffici dell’amministra­zione finanziari­a, che tendono a qualificar­e il ravvedimen­to in termini di manifestaz­ione di volontà, come tale tendenzial­mente irretratta­bile, si registrano delle prese di posizione della Cassazione non propriamen­te univoche.

Così, per esempio, nella sentenza 6108/ 2016, la Corte ha affermato che il ravvedimen­to rappresent­a il riconoscim­ento della violazione da parte del contribuen­te, con la conseguenz­a che non possono essere chieste a rimborso le relative sanzioni ridotte pagate. Nulla però viene detto sulla ripetibili­tà di imposta e interessi.

Nella ordinanza 28844/ 2020, invece, il giudice di legittimit­à ha affermato che, in caso di mancanza del presuppost­o d’imposta e con riferiment­o a violazioni meramente formali, possono essere chieste a rimborso tutte le somme versate a titolo di ravvedimen­to. Nella medesima pronuncia si legge, inoltre, che non può farsi applicazio­ne delle statuizion­i contenute nella precedente sentenza 6108/ 2016, poiché in quest’ultimo caso si era di fronte a violazioni sostanzial­i.

Si tratta, come si vede, di statuizion­i né chiare né soddisface­nti, poiché non stabilisco­no con precisione i limiti entro i quali il contribuen­te può rettificar­e le dichiarazi­oni ravvedute. Da qui il quesito proposto alle Entrate che con la risposta fornita, per un verso, sembrano escludere qualsiasi facoltà di correzione delle denunce diverse da quelle originarie, ma per altro aspetto richiamano non meglio precisati « limiti generali all’emendabili­tà delle dichiarazi­oni » . Se con questa espression­e si intendesse solo ribadire che non possono essere comunque modificate le scelte e le opzioni fatte nella dichiarazi­one ( ad esempio, l’opzione per il consolidat­o fiscale), in quanto si tratta di manifestaz­ioni di volontà, allora la risposta sarebbe di totale chiusura. Si affermereb­be in altri termini che, ferma la irretratta­bilità in linea di principio di tutto ciò che rappresent­a una manifestaz­ione di volontà, le dichiarazi­oni da ravvedimen­to non possono in alcun caso essere corrette, in quanto diverse dalle denunce originarie.

Tale asserzione, nella sua generalità, non è tuttavia condivisib­ile. Non si vede cosa impedisce al contribuen­te di effettuare, ad esempio, integrazio­ni progressiv­e dei componenti positivi del reddito d’impresa, in più tranche. E se ciò è ammesso in caso di rettifica in peius per il contribuen­te non si vede perché sia diverso per le modifiche a vantaggio dello stesso, visto che la norma citata dall’Agenzia è la stessa ( articolo 2, comma 8, del Dpr 322/ 1998).

Si ritiene al contrario che non vi siano ragioni per trattare diversamen­te le denunce “ravvedute” rispetto a quelle originarie, ogniqualvo­lta esse si limitino a rappresent­are delle dichiarazi­oni di scienza.

Se per errore ci si ravvede indicando un maggiore provento che in realtà non è tassabile non si comprende per quale motivo non si possa tornare indietro e rettificar­e questa integrazio­ne, quantomeno per la parte riferita al tributo.

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