Sulla governance il difficile nodo delle liste del cda
Vita delle imprese
Si è appena placata l’eco dello scontro nell’assemblea di Generali tra la lista Caltagirone e quella del CdA uscente ed ecco che il Senato riprende l’esame del disegno di legge, presentato lo scorso ottobre, che intende regolamentare le “liste del CdA”. Esso propone quattro rilevanti novità:
1 Vincoli alla lista, che deve avere candidati pari ai posti disponibili e non può includere consiglieri in carica da 6 anni o più; inoltre, essa va depositata 40 gg prima dell’assemblea ( quelle dei soci, come oggi, 25 gg prima);
2 Un complesso meccanismo di voto: se la lista del CdA non arriva prima nel computo dei voti, essa resta esclusa dal riparto seggi ( per le minoranze); se invece arriva prima, si effettua un ulteriore referendum sui singoli candidati, che risultano eletti solo se votati a maggioranza; a questo secondo turno partecipano anche i soci che prima hanno votato altre liste ( in caso di bocciature sarà l’assemblea a integrare il CdA incompleto);
3 Una norma anti collusione: se il CdA presenta una sua lista, tutti i soci che detengono una quota > 0,50% del capitale sono considerati parti correlate;
4 Una norma anti entrenchment: il CdA non può utilizzare risorse dell’emittente per promuovere consensi sulla propria lista.
Il sistema che ne risulta è problematico e divergente rispetto alla prassi internazionale. Questo è un problema grave, perché riduce l’attrattività del mercato italiano per i grandi investitori esteri. Inoltre, esso pone tali ostacoli alla lista del CdA da renderla impraticabile. Basti pensare all’applicazione a tappeto della normativa sulle parti correlate, che rischia di ingessare in modo punitivo la gestione e può prosciugare alla fonte il consenso dei soci per qualsiasi lista del CdA.
Nella prassi internazionale la lista del CdA uscente è la normalità, anche dove c’è un socio di controllo, anche nelle società italiane trasferitesi all’estero ( es. Campari, Cementir, EssilorLuxottica, Ferrari…), e vince quasi sempre. Non ci sono vincoli di legge al tipo di candidature ( salvo che per le quote di genere): in particolare, non si osservano vincoli legati alla durata in carica: talvolta, sono previsti limiti di età per i candidati ( ad es. in EssilorLuxottica i candidati oltre i 75 anni devono essere non più del 50%). Infine, la presentazione di candidature è un potere/ dovere del CdA, quindi non si pongono limiti normativi alle spese di sollecitazione e raccolta deleghe.
In generale, si punta verso regole simmetriche per CdA e soci, all’opposto che nel disegno di legge. Comunque nessun Paese prevede il doppio voto ( prima sulle liste, poi sui singoli candidati): tale proposta è – oltre tutto – asimmetrica perché è prevista solo per i candidati del CdA, e mette in difficoltà chi vota – in anticipo – per delega ( tutti i soci oggi, nel vigore della normativa Covid; gli investitori istituzionali anche quando si tornerà alle assemblee in presenza). Inoltre non è comune escludere dal riparto la lista seconda arrivata.
In Italia, già esistono norme anti- collusione: ad esempio è garantita la rappresentanza a un candidato tratto da una lista “non collegata” a quella di maggioranza. È Consob che monitora eventuali collegamenti: in passato ( caso Benetton Generali 2008) la semplice richiesta di informazioni ha portato al ritiro di una lista “sospetta”.
Infine, non si vede perché escludere dall’elezione candidati “del CdA” che hanno ottenuto molti voti; ciò significherebbe andare contro la volontà espressa da una significativa minoranza di soci.
In merito alla comunicazione anticipata al mercato da parte del CdA non ci sono evidenze conclusive: non è la prassi prevalente in Italia ( 2/ 3 degli statuti prevedono date di deposito allineate per tutte le liste). Esistono – è vero – precedenti internazionali di pubblicazione anticipata della lista del CdA ma in tali casi i soci devono a loro volta comunicare anticipatamente alla società le candidature alternative.
Il tema vero è garantire informazione adeguata ai soci da parte sia del CdA uscente, sia dei soci che propongono una lista alternativa ( e potrebbero prendere di fatto il controllo del consiglio).
Il primo caso è stato oggetto del recente Richiamo di Attenzione Consob; sembra ora opportuno valutare se è sufficiente l’informazione fornita dai soci, nel caso in cui la lista alternativa sia “lunga” e punti quindi al controllo del CdA. In conclusione, il disegno di legge sulle “liste del CdA” merita di essere ripensato a fondo: il sistema esistente funziona ragionevolmente bene e non ci sono evidenze di “fallimenti del mercato”; le proposte formulate, oltre a porre vincoli poco ragionevoli, allontanerebbero la normativa italiana dallo standard internazionale, riducendo l’attrattività del nostro sistemaPaese, non un gran risultato in un periodo di allargamento degli spread.