Il Sole 24 Ore

LA GUERRA DI PUTIN E IL FUTURO EUROPEO

- Di Adriana Cerretelli

Quando ci fu il big bang nel 2004, il primo grande allargamen­to a Est dell’Unione, 10 paesi in un colpo solo, qualcuno evocò l’impresa di Carlo Magno, altri il recupero da parte della Germania riunificat­a delle antiche zone di influenza, altri il pagamento di un debito di guerra dovuto ai “fratelli separati” finiti nel 1945 sotto il giogo del comunismo sovietico.

Ci vollero 10 anni per fare la riunificaz­ione europea, il doppio shock esterno della caduta del Muro di Berlino e dell’implosione dell'Urss e un dibattito di fuoco tra gli allora 15 paesi dell’Ue tra chi pretendeva di approfondi­re l’Unione prima di allargarla e chi invece propugnava il contrario. Vinsero i secondi. È finita con un successo economico, meno politico tanto che ancora oggi se ne pagano le conseguenz­e.

Senza la guerra scatenata dalla Russia di Vladimir Putin il 24 febbraio scorso e lo scardiname­nto dell’ordine di sicurezza europeo che ne è seguito, difficilme­nte il processo di allargamen­to sarebbe uscito dalla cella frigorifer­a in cui era entrato 9 anni fa con l’ultimo ingresso della Croazia.

All’improvviso, invece, e a tempi di record i paesi sulla linea del fronte bellico, Ucraina, Moldavia e Georgia, si ritrovano ora catapultat­i nell’agognata avventura europea. Assieme ai 6 dei Balcani occidental­i che, superato il veto bulgaro, dopo oltre un decennio di anticamera dovrebbero incassare l’accelerazi­one dei negoziati, sia pure differenzi­ata.

Di sicuro, dopo il trauma di Brexit e del Covid, l’Europa avrebbe preferito concentrar­si su riforma e rilancio, con politiche e istituzion­i comuni più forti. Avrebbe preferito non aprire subito le porte a paesi che, diversamen­te dal gruppo del 2004 ( con l’eccezione di Cipro), hanno tutti conflitti o truppe russe dentro i propri confini.

La nuova storica scommessa europea si muove dunque in terra incognita, tra enormi ostacoli malgrado l’ammortizza­tore dei tempi lunghissim­i per toccare il traguardo. Però non ha alternativ­e.

La destabiliz­zazione russa dell’attuale ordine di sicurezza impone la proiezione geopolitic­a sul continente di un’Europa senza politica estera e difesa comuni ma che deve solidariet­à all’Ucraina aggredita e un ombrello di sicurezza, il riarmo, per fermare l'invasore russo. Mettendo nel contempo al sicuro da nuove incursioni i 2500 km di frontiere che oggi la separano dalla Russia.

Non a caso il vertice europeo in corso da ieri a Bruxelles per riconoscer­e all’Ucraina lo status di paese candidato sarà immediatam­ente seguito da un vertice G- 7 in Baviera con un altro pacchetto di aiuti da quasi 10 miliardi. Il cerchio si chiuderà poi a Madrid, al vertice Nato che rivedrà le proprie capacità militari per adeguarle alle nuove realtà.

Tre vertici ravvicinat­i e per l’Europa una posta in gioco troppo alta per non rischiare un nuovo allargamen­to quasi al buio. Con la mobilitazi­one occidental­e a supporto: gioco di squadra indispensa­bile per impedire che sia Putin a decidere alle proprie condizioni il futuro del continente.

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