LA GUERRA DI PUTIN E IL FUTURO EUROPEO
Quando ci fu il big bang nel 2004, il primo grande allargamento a Est dell’Unione, 10 paesi in un colpo solo, qualcuno evocò l’impresa di Carlo Magno, altri il recupero da parte della Germania riunificata delle antiche zone di influenza, altri il pagamento di un debito di guerra dovuto ai “fratelli separati” finiti nel 1945 sotto il giogo del comunismo sovietico.
Ci vollero 10 anni per fare la riunificazione europea, il doppio shock esterno della caduta del Muro di Berlino e dell’implosione dell'Urss e un dibattito di fuoco tra gli allora 15 paesi dell’Ue tra chi pretendeva di approfondire l’Unione prima di allargarla e chi invece propugnava il contrario. Vinsero i secondi. È finita con un successo economico, meno politico tanto che ancora oggi se ne pagano le conseguenze.
Senza la guerra scatenata dalla Russia di Vladimir Putin il 24 febbraio scorso e lo scardinamento dell’ordine di sicurezza europeo che ne è seguito, difficilmente il processo di allargamento sarebbe uscito dalla cella frigorifera in cui era entrato 9 anni fa con l’ultimo ingresso della Croazia.
All’improvviso, invece, e a tempi di record i paesi sulla linea del fronte bellico, Ucraina, Moldavia e Georgia, si ritrovano ora catapultati nell’agognata avventura europea. Assieme ai 6 dei Balcani occidentali che, superato il veto bulgaro, dopo oltre un decennio di anticamera dovrebbero incassare l’accelerazione dei negoziati, sia pure differenziata.
Di sicuro, dopo il trauma di Brexit e del Covid, l’Europa avrebbe preferito concentrarsi su riforma e rilancio, con politiche e istituzioni comuni più forti. Avrebbe preferito non aprire subito le porte a paesi che, diversamente dal gruppo del 2004 ( con l’eccezione di Cipro), hanno tutti conflitti o truppe russe dentro i propri confini.
La nuova storica scommessa europea si muove dunque in terra incognita, tra enormi ostacoli malgrado l’ammortizzatore dei tempi lunghissimi per toccare il traguardo. Però non ha alternative.
La destabilizzazione russa dell’attuale ordine di sicurezza impone la proiezione geopolitica sul continente di un’Europa senza politica estera e difesa comuni ma che deve solidarietà all’Ucraina aggredita e un ombrello di sicurezza, il riarmo, per fermare l'invasore russo. Mettendo nel contempo al sicuro da nuove incursioni i 2500 km di frontiere che oggi la separano dalla Russia.
Non a caso il vertice europeo in corso da ieri a Bruxelles per riconoscere all’Ucraina lo status di paese candidato sarà immediatamente seguito da un vertice G- 7 in Baviera con un altro pacchetto di aiuti da quasi 10 miliardi. Il cerchio si chiuderà poi a Madrid, al vertice Nato che rivedrà le proprie capacità militari per adeguarle alle nuove realtà.
Tre vertici ravvicinati e per l’Europa una posta in gioco troppo alta per non rischiare un nuovo allargamento quasi al buio. Con la mobilitazione occidentale a supporto: gioco di squadra indispensabile per impedire che sia Putin a decidere alle proprie condizioni il futuro del continente.