La variabile Draghi nei destini di Conte e Di Maio
Le strade di Conte e Di Maio si sono separate ma per il momento non si capisce su quale messaggio politico. Nel senso che l’ex premier dice di voler sostenere ancora Draghi, poi si vedrà, e il ministro degli Esteri definisce il profilo della sua nuova formazione proprio sul sostegno al Governo oltre che sul rifiuto di populismo e sovranismo. Sembra insomma più una questione personale, di incompatibilità tra leader ed ex leader visto che nessuno dei due ha già messo a fuoco un progetto convincente da raccontare agli elettori. Sul campo ci sono più allusioni che fatti concreti. C’è da aspettare che passi l’estate e si arrivi all’autunno per vedere quali saranno le distanze e il grado di separazione nelle proposte, nel rapporto con il premier e con la società.
Le ipotesi che si possono fare adesso è che Di Maio lavora a un centro che porti avanti l’eredità di Draghi mentre chi resta nel Movimento sembra voglia guardare alla Francia e a chi è riuscito a rappresentare quell’area del malessere sociale. Lì quel popolo ha avuto due leadership, quella di Melenchon e di Le Pen che naturalmente parlano a mondi diversi anche se accomunati dal senso di frustrazione e dissenso. Se è vero, quindi, che il capo dei 5 Stelle intende diventare il punto di riferimento di quel grumo di disagio e astensione, che c’è ora anche in Italia, allora è evidente che non potrà appiattirsi sull’Esecutivo ma creare un rapporto conflittuale che potrà andare da uno strappo, a un appoggio esterno o a una guerriglia in Parlamento. Già ora arriva il pungolo di Di Battista che spinge Conte a rompere subito, in estate. Facile a dirsi ma difficile a realizzarsi perché per farsi interpreti dell’insofferenza non bastano le tattiche ma serve credibilità, mani libere e un messaggio che adesso non c’è. Raccontano di contatti tra Conte e Landini ma se troveranno una declinazione lo si vedrà con la legge di bilancio quando sul tavolo ci saranno le proposte del Governo.
Le ambiguità ci sono anche nella metà di Di Maio perché dire oggi di essere leali a Draghi non può essere uno slogan da campagna elettorale soprattutto se non è certo che lo stesso Draghi resti per proseguire il suo lavoro. Il futuro dell’ex presidente della Bce, infatti, non è una variabile neutra e senza di lui rischia di sgonfiarsi tutto quel mondo di centro che si sta coagulando intorno alla sua esperienza. Servirebbe almeno una figura altrettanto forte che riesca a dare solidità alla prospettiva e servirebbe pure che si inizi ad affacciare l’ipotesi di un secondo tempo per le larghe intese.