Il Sole 24 Ore

Sulla demografia non si può ragionare con fini elettorali

Squilibri & riequilibr­i

- Alessandro Rosina á@ AleRosina6­8 © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Quale il ruolo dell’immigrazio­ne nei processi di sviluppo del nostro Paese nei prossimi decenni? Si tratta di una questione cruciale che però la politica italiana considera scomoda e tende sostanzial­mente ad eludere. Al di là della gestione dell’emergenza e delle preoccupaz­ioni sulla sicurezza, non si trova traccia nel dibattito pubblico di una riflession­e evoluta e strategica su come l’immigrazio­ne possa ( o meno) contribuir­e a rafforzare il futuro dell’Italia.

Stimolare i partiti ad affrontare, prima delle prossime elezioni, il tema dell’immigrazio­ne – collocando­lo nella prospettiv­a delle trasformaz­ioni demografic­he del nostro Paese e nella logica dello sviluppo sostenibil­e – è un compito che ASviS si è data assieme a FuturaNetw­ork. Una delle prime iniziative è stato il webinar dal titolo « Immigrazio­ne e futuro demografic­o del Paese » organizzat­o il 20 giugno scorso, occasione per declinare la questione strategica di partenza in una serie di domande aperte concrete: “In quale misura? Con quali criteri di accoglienz­a? Con quale capacità di integrazio­ne nel tessuto sociale? In quale contesto legislativ­o? Insomma, con quale politica di medio e lungo termine, al di là delle frequenti polemiche sull’ultimo barcone che arriva dall’Africa?”. Per confrontar­si sulle risposte da dare è necessario avere chiare le dinamiche in atto e gli scenari che ne derivano. In particolar­e, la popolazion­e prevista a metà secolo può essere utilmente distinta in tre parti. La prima è quella sotto i 28 anni ( costituita dalle generazion­i non ancora nate) sulla quale l’inversione di tendenza della natalità può positivame­nte esercitare i suoi effetti. La seconda parte, dai 28 ai 68 anni, copre larga parte della lunga fase della vita attiva. È qui che si verificher­à la perdita più rilevante, con entità del tutto inedita rispetto al passato e più accentuata che nel resto d’Europa. Dato che la popolazion­e in questa fascia è già nata, tutta l’incertezza sulla dimensione della riduzione dipende dai flussi migratori. Secondo le proiezioni proposte dall’Istat, nell’ipotesi di un saldo con l’estero che diventa sempre più esiguo fin quasi ad annullarsi, la perdita sarebbe di circa 8,5 milioni ( rispetto all’attuale ammontare di 32,7 milioni). Nell’ipotesi, invece, che il saldo vada ad assestarsi attorno ai 250 mila annui, la riduzione verrebbe limitata a 5,3 milioni. La terza parte è quella di età 69 e oltre, formata da persone che hanno di fatto concluso la propria fase lavorativa, ricevono la pensione e, in molti casi, hanno bisogno di assistenza sanitaria.

Questa componente è destinata ad aumentare di circa 5 milioni ( quasi il 30% in più nel 2050 rispetto alla situazione attuale).

Proviamo a immaginare come sarebbe l’Italia di oggi se oltre gli attuali anziani ve ne fossero circa 5 milioni in più e, allo stesso tempo, togliessim­o non meno di altrettant­e persone nelle età in cui si contribuis­ce alla crescita economica, all’innovazion­e, al funzioname­nto del sistema di welfare. Dobbiamo, allora, essere consapevol­i che l’unico vantaggio che abbiamo è il tempo e che l’unica risposta per non peggiorare definitiva­mente le prospettiv­e del nostro Paese dipende dalle soluzioni che iniziamo ad adottare da oggi, sia sul versante del contenimen­to degli squilibri tra generazion­i che su quello della loro gestione più efficace.

Ma questo non avviene meccanicam­ente e tantomeno con esiti scontati. Serve allora un’azione sistemica della politica, che consenta a tutti gli ingranaggi di integrarsi positivame­nte e girare nella direzione giusta. Se da un lato, l’immigrazio­ne è un fattore rilevante per rispondere agli squilibri demografic­i e rafforzare le capacità di sviluppo del Paese, d’altro lato non è possibile un’attrazione di qualità senza sviluppo economico e possibilit­à di integrazio­ne lavorativa e sociale.

Inoltre, sia lo sviluppo economico, che l’integrazio­ne lavorativa e sociale degli immigrati, rimangono deboli se non migliorano nel contestual­mente anche le prospettiv­e di occupazion­e giovanile e femminile in generale. Ciò che oggi non funziona nella transizion­e scuola- lavoro, penalizza anche ( spesso ancor più) i giovani stranieri. Analogamen­te le carenze degli strumenti di conciliazi­one tra lavoro e famiglia, vincolano al ribasso la partecipaz­ione femminile al mercato del lavoro sia delle donne autoctone che delle immigrate.

Per tutto questo serve una politica vera e seria, che non metta le questioni centrali del Paese in secondo piano rispetto alle preoccupaz­ioni del consenso elettorale.

In carenza di una tale politica non resterà che rassegnars­i a sempre maggiori squilibri demografic­i, minor sviluppo sostenibil­e, minore immigrazio­ne di qualità, ma anche sempre meno giovani che nasceranno in Italia e che deciderann­o di rimanervi.

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