Il Sole 24 Ore

Orani ricostruis­ce il rilievo del negozio di New York Vita di Adriano Olivetti, un italiano straordina­rio che sognò la modernità

- Giuseppe Lupo

Sarà visitabile fino al 29 agosto al Museo Nivola di Orani la mostra « Nivola e New York » ( a cura di di Giuliana Altea, Antonella Camarda, Luca Cheri, Carl Stein). Al centro è il rilievo di Nivola per lo showroom Olivetti nella Fifth Avenue, firmato BBPR ( 1954), caposaldo

Sarà di sicuro un segno dei tempi il forte interesse che oggi riscuote la figura di Adriano Olivetti, soprattutt­o in merito alla carica di originalit­à che ha contraddis­tinto la sua maniera di pensare l’impresa e di viverla come imprendito­re. Non si tratta di una novità. Anche nel più recente passato è accaduto qualcosa di simile e la testimonia­nza sta nella ricca bibliograf­ia di opere che ne hanno celebrato la memo- ria e, in un certo modo, hanno riproposto il magistero. Le Edizione di Comunità, rinate qualche decennio fa con il sostegno della Fondazione Adriano Olivetti di Roma, si sono fatte portavoce di quest’esigenza, ristampand­o una parte dei volumi che costituiva­no il catalogo storico dell’arte e dell’architettu­ra italiane del dopoguerra, ricostruit­o in scala 1: 1 con metodi stampa 3D. Lungo 23 metri e alto 5, il monumental­e fregio, dopo la chiusura del negozio Olivetti nel 1969, fu ricollocat­o nel 1973 nello Science Center dell’Università di Harvard. delle vecchie edizioni e l’intera lista di opere di cui Olivetti stesso è stato l’autore. Ciò dimostra non solo quanto si sia protratta l’attualità del suo pensiero, ma anche il bisogno di ripensare al suo operato, di attingerci idee, di ridiscuter­ne gli esiti in epoche lontane e in condizioni modificate. Dire che Olivetti sia diventato un classico del Novecento aiuta a capire le ragioni per cui tornare a lui, forse anche a causa del deserto intellettu­ale in cui la pandemia ( e prima la crisi del 2008) ci costringe a vivere. Abbiamo tutti bisogno di sapere che è esistito un Adriano Olivetti e che di lui rimane un lascito morale su cui probabilme­nte ci sarebbe ancora tanto da discutere e da interrogar­ci, a patto però che ci si metta d’accordo su un fatto: negli anni 50 e 60, quando il processo di trasformaz­ione del Paese coincideva con la realizzazi­one dell’utopia olivettian­a, l’ingegnere Adriano non godeva di particolar­i simpatie in seno all’establishm­ent industrial­e che osservava con sospetto il suo welfare innovativo, oggi invece si addita a modello quel tipo di organizzaz­ione aziendale, anche a costo di scivolare nell’errore di accettare in maniera acritica, beatifican­dolo, l’intero operato. Di fronte a un simile rischio occorre conservare la mente lucida e non farsi catturare dai facili entusiasmi, dalle citazioni sfoderate nei discorsi in tv o nei festival. Per accostarsi al mondo di Adriano Olivetti bisogna poggiare i piedi sui documenti, sporcarsi le mani con la polvere accumulata negli archivi come ha fatto Paolo Bricco prima di immergersi nelle stesure sia del saggio di qualche anno fa, L’Olivetti dell'Ingegnere. 1878- 1996

( 2014), sia di questo appena arrivato in libreria, AO. Adriano Olivetti, un italiano del Novecento ( Rizzoli, pagg. 473, € 22). Mentre il precedente prendeva in esame un’epoca problemati­ca dell’azienda, la Olivetti di Carlo De Benedetti, qui compone un ritratto totale e completo di Adriano, che sarebbe troppo riduttivo definire sempliceme­nte biografia. Apparentem­ente lo è, ma non solo: c’è il racconto di un’idea che comincia a germogliar­e nel Canavese, in seno a una famiglia dai caratteri assai particolar­i, all’incrocio di almeno due visioni religiose del mondo – quella ebraica del padre e quella protestant­e della madre – ma con un preciso sentimento della modernità. Qui sta l’importanza del libro.

Finora si pensava ad Adriano come a un personaggi­o tanto originale da essere considerat­o un oggetto misterioso del Novecento industrial­e italiano, ai limiti della stravaganz­a, perfino ingombrant­e in confronto alla tipologia degli imprendito­ri a cui la casistica ci ha abituati. Oggi invece, grazie all’impegno nello scavare dentro gli archivi, consideria­mo la vicenda di quest’uomo una storia perfettame­nte italiana – lo afferma a chiare lettere il titolo –, ricca di intuizioni e di contraddiz­ioni, comprensiv­a di errori strategici e politici, ma pur sempre esemplare di quell’Italia che ha saputo inseguire i propri progetti nel periodo cruciale della modernità, dimostrand­o l’esistenza di una possibile “terza via” al capitalism­o, qualcosa di inaspettat­o e di inattuale, che però stava in mezzo tra libero mercato e socialismo reale, a correggern­e gli estremismi. Il saggio di Bricco non è il resoconto edulcorato e agiografic­o di un imprendito­re transitato in pochi anni dal culmine del successo a un destino incompiuto, ma un percorso a tappe che attraversa il secolo scorso con i panni di un uomo interessat­o a produrre oggetti – e anche belli, depositari di uno stile inconfondi­bile – circondand­osi di intelligen­za, di creatività, interpreta­ndo il suo ruolo in forma anomala e controcorr­ente. Definire questa storia tipicament­e italiana reca l’indubbio vantaggio di riconoscer­e finalmente che non abbiamo avuto un solo Novecento, rettilineo e uniforme, ma una stratifica­zione di anni, dove la modernità ha seguito traiettori­e non sempre limpide e tuttavia il più delle volte significat­ive, tese a quel bene comune da cui ha preso le mosse l’istinto per il nuovo. In questa prospettiv­a perfino gli sbagli di un imprendito­re possono ottenere l’indulgenza, godere di una comprensio­ne o di una giustifica­zione. Resta il dubbio se l’industria di Adriano sia stata un exemplum a sé, tanto più irripetibi­le quanto estraneo al tessuto del nostro Paese, o se non sia meglio considerar­la un’occasione mancata, l’ennesima di una nazione che ancora oggi non ha sciolto i nodi del proprio paradigma produttivo e continua a rimandare la scelta a dopo, magari quando sarà tardi. Anche questo è un tema che fa parte della nostra identità e forse c’è da aspettare ancora tanto prima che arrivi a soluzione.

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L’OPERA DI COSTANTINO NIVOLA IN MOSTRA

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