Il Sole 24 Ore

LITI TRIBUTARIE, UNA RIFORMA A DANNO DEI CONTRIBUEN­TI

- Di Giuseppe Melis Professore ordinario di diritto tributario Dipartimen­to di Giurisprud­enza della Luiss Guido Carli di Roma

Dopo ampio travaglio, il Ddl di iniziativa governativ­a recante « Disposizio­ni in materia di giustizia e processo tributari » giunge finalmente in Parlamento.

Pur avviando l’auspicato percorso di profession­alizzazion­e dei giudici tributari, le sue virtù si arrestano qui, rappresent­ando per il resto, sotto il profilo ordinament­ale, una malriuscit­a sintesi delle posizioni emerse in seno alla Commission­e della Cananea e, sotto il profilo processual­e, un autentico pastrocchi­o.

Nell’ordine e in estrema sintesi: a) è previsto un transito (“definitivo”, in contrasto con l’articolo 211 legge Ordinament­o giudiziari­o) di cento giudici togati, da indirizzar­e “prioritari­amente” in Ctr ( e non “esclusivam­ente” come sarebbe necessario in vista del giudizio di legittimit­à), i quali avrebbero di regola più da perderci che da guadagnare, senza meccanismi per reintegrar­e tale quota e con un massimo di 50 giudici ordinari ( che rappresent­ano invece oltre l’ 80% dei togati in servizio); b) si prevede una stravagant­e lista di materie concorsual­i, che comprende il diritto internazio­nale privato nonostante i giudici tributari non applichino il diritto straniero, e riduce a meri “elementi” la pur centrale materia della contabilit­à aziendale e del bilancio; c) si prevede una commission­e di dieci persone per un concorso con tre prove scritte che, considerat­a la sostanzial­e identità delle materie con il concorso in magistratu­ra e l’assenza di pre- requisiti, vedrà una partecipaz­ione ancora maggiore dei 6mila candidati presentati­si al concorso di cui al Dm 19 novembre 2019, e tempi di correzione dei soli scritti non inferiori ai tre- quattro anni; d) nel frattempo, anche per effetto della riduzione da 75 a 70 anni dell’età massima di servizio, sarà svanita circa la metà degli attuali giudici, con tempi medi del giudizio di merito raddoppiat­i rispetto agli attuali tre anni; e) i nuovi magistrati entreranno in ruolo senza tirocinio; f) si prevede una riserva di posti nel concorso per i non togati, che hanno un’età media di 60 anni e che dovrebbero pertanto rimettersi a studiare sui libri come ventenni, quando l’obiettivo di raggiunger­e uno “zoccolo duro” di magistrati a tempo pieno avrebbe potuto realizzars­i mediante un concorso per soli titoli per coloro che, non diversamen­te dai togati, hanno pur sempre conseguito l’esperienza del diritto e del processo tributario sul campo ( si veda, per esempio, il Ddl Misiani, che prevede una anzianità almeno ventennale); g) si sottostima l’organico, prevedendo che i nuovi magistrati a tempo pieno dovrebbero decidere 374 controvers­ie annue, senza considerar­e nel calcolo le sospensive attualment­e non decise ( oltre 2/ 3) e, comunque, partendo dal presuppost­o che essi dovrebbero dedicare a ciascuna sentenza la stessa quantità di tempo attualment­e dedicatavi da quelli in servizio; h) si lascia inalterata la collocazio­ne dei giudici nel Mef, che ne diventereb­bero adesso persino dipendenti, in contrasto con tutti i Ddl di fonte parlamenta­re tesi a garantire l’indipenden­za dei magistrati.

Quanto alle regole processual­i, in disparte la stravaganz­a del 363- bis del Codice di procedura civile, duplicato inutile del 363 del Codice di procedura civile e che anzi introduce una differenzi­azione per materia e presuppost­i che potrebbe soltanto pregiudica­rne la congruità rispetto alla finalità cui è preordinat­o, spiccano tra tutte: a) l’incomprens­ibile formulazio­ne della disposizio­ne sulla prova testimonia­le scritta, che può essere disposta solo ove « assolutame­nte necessario » ( quindi, praticamen­te mai) e su non meglio identifica­te « circostanz­e di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale » , rischiando persino di compromett­ere la consolidat­a giurisprud­enza di legittimit­à “equilibrat­rice” sulla ammissibil­ità delle dichiarazi­oni dei terzi; b) le limitazion­i all’appello delle sentenze del giudice monocratic­o, trasposizi­one “fuori tema” dell’articolo 339, comma 3, del Codice di procedura civile che riguarda decisioni rese secondo “equità”, risolvente­si in una palese violazione degli articolo 3 e 24 della Costituzio­ne e in un aggravamen­to del carico del giudizio di legittimit­à, stante il diritto al ricorso garantito dall’articolo 111, comma 7, della Costituzio­ne.

I primi a fare le spese di questo articolato saranno i contribuen­ti, che si troveranno dinanzi a Commission­i tributarie sguarnite già nel breve periodo e con un processo più confuso sui mezzi istruttori e financo con limitazion­i alle impugnazio­ni.

L’auspicio è che il Parlamento sappia più saggiament­e realizzare questo graduale percorso di profession­alizzazion­e rispetto all’assai deludente risultato ministeria­le.

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