In Europa il peso della guerra sulla crescita
Rallentamento dalle catene delle forniture interrotte e rialzi delle materie prime
Recessione in arrivo? La domanda non è fuori luogo, neanche per Eurolandia: la pandemia non sembra ancora del tutto sotto controllo; le catene di forniture restano in parte interrotte; sui confini orientali divampa una guerra che coinvolge due tra i principali esportatori di materie prime e di alimentari non trattati ( gas, petrolio, nichel, grano) con il conseguente aumento delle materie prime...
Basterebbe questo per prevedere almeno un rallentamento della crescita, e forse anche una riduzione della crescita potenziale, sostenibile. Non è tutto, però: l'inflazione da offerta si è “allargata”, sostenuta anche – inutile negarlo – da politiche economiche, monetarie e fiscali, ancora in modalità ultraespansiva. A essere penalizzati, soprattutto i risparmiatori e i lavoratori a reddito fisso. Se la tedesca IGMetall, il maggior sindacato europeo chiede come prima mossa, ben sapendo di non poter ottener tutto, un aumento salariale pari all'inflazione prevista, l' 8%, significa che ha già accettato una riduzione del potere d'acquisto per i suoi iscritti, i lavoratori del settore industriale ed elettronico.
Qualunque sia l'esito delle trattative – in tutta Eurolandia, non solo in Germania: i salari negoziati nel primo trimestre erano in crescita del 2,81%, il massimo dal 2009 – il risultato sarà una riduzione della domanda: perché calano i salari reali ( al netto dell'inflazione), perché le imprese avranno ulteriori costi in aumento, o perché una parte degli aumenti salariali saranno scaricati sui prezzi, facendo ricominciare il circolo vizioso.
L’inflazione è insomma una tragedia, quanto la disoccupazione; e per troppo tempo è stata dimenticata nel dibattito pubblico, soprattutto italiano. La Banca centrale europea ne è consapevole, ma può fare una cosa sola: accelerare il processo, alzare i tassi di interesse, frenare il ricorso al debito pubblico ( più costoso), rallentare i prestiti, e quindi gli investimenti, gli acquisti a credito ( di case, di automobili). Alla ricerca di un nuovo equilibrio, che non potrà non passare attraverso la chiusura delle aziende “marginali”, quelle più in difficoltà.
A giugno gli indici Pmi, calcolati sulla base di sondaggi presso i manager acquisti delle imprese, che hanno il quadro della situazione dell'intera azienda in cui lavorano, hanno già mostrato un deciso peggioramento: sono calati, per Eurolandia, a 51,9, un minimo da 16 mesi, da 54,8 di maggio. Soprattutto, l'indice si è avvicinato alla soglia dei 50, sotto la quale prevale la contrazione delle diverse componenti in cui si articola.
La Bce non ha ancora pronunciato “la parola con la R”, recessione, come ha invece fatto il presidente della Fed Jerome Powell, ma ne ha discusso già nella riunione di aprile: il comitato direttivo ha ritenuto limitati i « rischi di stagnazione e recessione » , ma qualche governatore, già allora, ha evocato la possibilità di una « recessione tecnica nei prossimi trimestri » , che « non può essere esclusa » .
È quello che ritengono ora diversi analisti privati. Barclays, per esempio, prevede una recessione tecnica ( due trimestri) in tutti i paesi della zona euro entro fine anno, malgrado ritenga che la stretta Bce sarà meno intensa di quanto i mercati oggi scontino, e non prenda in considerazione uno stop totale del flusso di gas russo verso Germania e Italia.
Il rischio geopolitico, così forte, è anche uno degli aspetti che rendono la situazione di Eurolandia molto diversa da quella degli Stati Uniti, malgrado un destino probabilmente simile: nella zona euro i consumi non sono ancora ai livelli pre- covid ( e la ripresa del turismo, secondo Barclays, non farà evitare la recessione), mentre gli extrarisparmi da pandemia potrebbero non alimentare la domanda ( e quindi l’inflazione). Simile è però il buon andamento del mercato del lavoro: la disoccupazione è ai minimi storici, al 6,8%: un’ambigua benedizione, in tempo di rincari, per le pressioni salariali che può generare.