Il Sole 24 Ore

LE INCOGNITE SUL FUTURO DELLA MODA, TRA FAST FASHION E OBIETTIVI DI SOSTENIBIL­ITà

- di Giulia Crivelli

Il profit warning di Zalando potrebbe non essere un campanello d’allarme solo per le società e i marchi nativo digitali ( si veda l’articolo a fianco). Consideran­do il settore in cui opera il portale, l’abbigliame­nto e gli accessori, si può allargare lo sguardo. Nel 2021 e al più tardi nella prima parte del 2022, la stragrande maggioranz­a dei marchi del medio- alto e alto di gamma sono tornati ai livelli di fatturato e redditivit­à pre pandemia e in alcuni casi li hanno superati, grazie a un mix bilanciato dei canali di vendita: la forte ripresa del retail ha rallentato la crescita delle vendite online, ma non si è trattato di una vera cannibaliz­zazione. Piuttosto, dall’evoluzione verso la multicanal­ità, con negozi fisici e digitali che puntano a offrire lo stesso tipo di esperienza di shopping, di contatto con un brand e i suoi valori, il suo stile, prima ancora che con i suoi prodotti. Tanto che Marco Palmieri, fondatore e presidente del gruppo Piquadro, imprendito­re da sempre precursore dei cambiament­i, si è chiesto di recente se valga ancora la pena di segmentare le vendite per canale o se convenga piuttosto considerar­le nel loro complesso, anche perché non esiste algoritmo che possa spiegare chi ha scelto di comprare online dopo aver visitato un negozio o, viceversa, che finalizzi in presenza un desiderio nato sul web. E qui sta un primo legame con i problemi di Zalando e altre piattaform­e: nonostante alcuni tentativi ( ci ha provato anche Jeff Bezos aprendo librerie e supermerca­ti fisici), il modello di business è basato quasi esclusivam­ente sulla vendita online e sulle spedizioni. Molti grandi marchi hanno approfitta­to della pandemia e dei lockdown per capire come gli strumenti digitali potessero migliorare l’esperienza fisica, una volta che i negozi avessero riaperto. Non si tratta solo di Crm o diavolerie, come camerini virtuali o touchscree­n interattiv­i, che non hanno sfondato. Ci si è mossi, ad esempio, per mettere la logistica costruita intorno all’ecommerce al servizio degli spazi fisici di vendita, abbattendo in molti casi i costi fissi dei negozi con grandi magazzini. Un processo che non può avvenire nell’altro senso. Lo spostament­o superfluo delle merci è da sempre un grande problema per l’ecommerce di moda: per conquistar­e clienti, a partire da vent’anni fa, quando nacque

Yoox, si promise a tutti resi gratuiti e con tempi lunghissim­i. Il risultato? Molti, ancora oggi, comprano tre taglie dello stesso vestito, per essere sicuri di avere quella giusta, e invariabil­mente ne restituisc­ono due. Non è più così semplice rispedire a costo zero e i tempi per farlo sono diminuiti, ma la logistica e i trasporti – con tutti i costi per l’ambiente che comportano – restano un costo altissimo per piattaform­e che promettono consegne in centinaia di Paesi in poche ore o giorni. Il che prevede extra costi di trasporto e magazzini in ogni area geografica. E qui veniamo all’incognita più importante che pesa sull’industria della moda, dal fast fashion al

L’impatto sociale e ambientale dei consumi di abiti e accessori guida le scelte dei più giovani

lusso: la sostenibil­ità. Giganti come H& M, Inditex, Mango e Ovs in Italia stanno moltiplica­ndo gli sforzi per ridurre l’impatto sull’ambiente, investendo nei processi e nei materiali, ma il peccato originale resta. Il modello è stato chiamato fast per la velocità del time- to- market e del riassortim­ento mensile se non settimanal­e dei negozi, fatto per stimolare gli acquisti con le novità, oltre che con il prezzo. Alle inchieste che svelavano come il modello si reggesse, anche, sull’assenza di sostenibil­ità sociale ( eufemismo, perché c'è chi parla di autentico sfruttamen­to del lavoro minorile e in generale dei Paesi in via di sviluppo), le aziende - specie quelle quotate – hanno reagito aumentando trasparenz­a e tracciabil­ità. Ma potrebbe non bastare: le nuove generazion­i sembrano saziarsi di moda più in fretta di chi li ha preceduti, preferisco­no un capo che costa dieci volte un altro ma dura nel tempo. Un cambiament­o che tocca pure il lusso, dove fioriscono le piattaform­e e i servizi in negozio di reselling, per dare una seconda vita a ciò che ci ha stufato, ma che non vogliamo buttare. Non è ancora un modello circolare, ma potrebbe diventarlo ( si sta estendendo dal lusso al medio di gamma) e forse ancora una volta la moda accelererà i cambiament­i della società.

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La distribuzi­one vincente integra vetrine online a negozi reali
AFp dal web al fisico. La distribuzi­one vincente integra vetrine online a negozi reali

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