A Kharkiv sotto le bombe la sfida di portare alla popolazione 200 tonnellate di aiuti
Una deputata della Rada, il Parlamento ucraino, distribuisce cibo nella città
Alla periferia di Kharkiv, in un grande deposito di cui non può indicare l’indirizzo preciso per motivi di sicurezza, Maria Mezentseva mostra gli ultimi carichi di aiuti arrivati: cereali, carne in scatola, olio, pasta, latte conservato: « Tutto quanto può stare in una borsa da 15 kg, e mantenere una famiglia » . Il magazzino è il punto di riferimento di un’operazione organizzata da Zurich, il gruppo assicurativo svizzero che, contattato da Mezentseva, ha inviato via treno dalla Polonia oltre 200 tonnellate di aiuti alimentari. Un viaggio di una settimana, su una distanza di 1.250 km. « Molta gente in Ucraina, e nella mia regione, non ha nulla da mangiare » , dice Maria: dal magazzino partono i furgoni di Emerland Foundation, organizzazione ucraina di beneficenza che segue la consegna dei pacchi porta a porta. « Da Kharkiv – spiega Mezentseva, deputata alla Rada, il Parlamento ucraino, per “Sluga narodu” ( Servitore del popolo), il partito di Volodymyr Zelensky – possiamo anche arrivare a consegnare nell’area del Donbass sotto controllo ucraino, ampliando il progetto » .
Nelle ultime settimane, Kharkiv è tornata nel mirino. Una controffensiva ucraina aveva attenuato la morsa iniziale dei bombardamenti russi sulla seconda città del Paese e sui villaggi vicini, e Kharkiv aveva provato a tornare lentamente a qualche forma di normalità. Ma ora gli attacchi si sono fatti di nuovo intensi, per costringere Kiev a dirottare forze dal fronte sui cui ora si concentrano gli scontri decisivi, nel Donbass. « Siamo costantemente sotto minaccia – dice Maria –. Non sai mai da dove può arrivare, non puoi mai dire se la prossima notte sarà tranquilla. Qualche giorno fa, per esempio, sette missili hanno preso di mira la città e i dintorni, raggiungendo anche le sedi delle Ngo che collaborano con noi e che stavano distribuendo gli aiuti a Derhachi, un sobborgo di Kharkiv. Ma dobbiamo essere comunque pronti a sostenere la doppia sfida – la raccolta e la distribuzione degli aiuti alimentari in città e nei villaggi intorno » .
Maria elenca i Paesi più impegnati nell’invio di aiuti umanitari: dall’Europa all’America, fino all’Australia. « Con le armi è più difficile! Ma certo non avremmo così bisogno di cibo se avessimo più armi pesanti per difenderci. In ogni caso, per noi è essenziale dare un resoconto ai nostri partner: le nostre organizzazioni sono molto attive nella regione, sanno dove consegnare, dove la gente ha più bisogno. E i rapporti che riceviamo sono commoventi: quando vedi sorridere un bimbo o una bimba o una persona in una sedia a rotelle, perché hanno avuto del cibo... abbiamo imparato a essere felici per le cose più semplici » .
Non teme che il prolungarsi della guerra non rischi di mettere alla prova l’unità e la capacità di resistenza mostrate finora dagli ucraini?: « Vladimir Putin ha fatto una cosa grande – risponde Mezentseva -: ci ha uniti come mai prima. Non ho dubbi sulla forza di questo collante. Prima la percentuale di ucraini favorevole all’integrazione con l’Europa era il 70%, ora è più del 90%. Chi voleva stare con la Russia ha potuto scegliere, e se ne è andato. Anche prima che inizias
‘ L’attacco di Putin, ha unito come mai prima gli ucraini facendo salire dal 70 al 90% chi vuole aderire alla Ue
se la guerra » . E anche in tempo di guerra, le istituzioni funzionano, continua Maria: i tribunali, gli organismi anti- corruzione, il Parlamento, il Governo, l’ufficio del presidente. Poi c’è il movimento di resistenza nelle città occupate dalle forze russe: « Potremmo forse chiamarla guerra partigiana, è molto attiva. Se penso a quel nonno di Mariupol... in sedia a rotelle, se ne è andato nel mercatino improvvisato - dove la gente si scambia i barattoli e il cibo che ha ancora in casa - con un piccolo altoparlante, facendo suonare l’inno ucraino. Che coraggio! A Mariupol, completamente circondata, piena di russi, piena di militari, chi picchierebbe un vecchio su una sedia a rotelle? » .
Non escludo che ci sia una certa stanchezza, ammette la deputata di Kharkiv: « A volte mi sveglio e mi sembra di non farcela più – confida -. Quando mi arriva un messaggio che dice che un membro della nostra squadra è stato ucciso da un missile, con un bimbo a fianco. Poi penso ai miei cugini al fronte, a chi sta peggio di me, sono così tanti... Guardo quello che gli occupanti ci stanno facendo, gli obiettivi civili bombardati, ospedali e scuole, edifici storici e musei. O le case private saccheggiate, da cui hanno portato via vestiti e lavatrici, i televisori caricati sui carri armati. E penso che c’è qualcosa che non potranno mai rubarci: la nostra identità, la nostra forza, il nostro coraggio » .